venerdì 24 agosto 2012

Avete dei consigli per me???

Ciao ragazzi!!!

Dovrei acquistare dei nuovi libri... ho liste piene di titoli e non so mai da quale cominciare...
Vorrei sapere se qualcuno di voi ha letto di recente qualcosa che si sente di consigliarmi :)
Inserite i vostri consigli nei commenti :)

Grazie

Big Fish

Inizio: 29 giugno 2012
Fine: 24 agosto 2012


Anni fa vidi per caso il film di Tim Burton. Ne rimasi stregata e con grande gioia scoprii che il film era stato tratto da un omonimo libro. Doveva essere un libro meraviglioso!!!! Normalmente prima leggo i libri e dopo (se è il caso) guardo i film; in questo caso però non avevo avuto scelta. Dovevo leggere anche il libro! L’ho cercato in lungo e in largo ed alla fine tre mesi fa l’ho trovato su IBS. Mi ripromettevo di leggerlo subito e l’ho cominciato il 24 giugno… ma poi è rimasto parcheggiato in doppia fila sul comodino per mancanza di tempo. L’ho portato in vacanza con me decisa a finirlo. Dico “decisa” perché in realtà mi ci è voluta molta determinazione già solo per arrivare a metà… finirlo rappresentava un problema. L’ho trovato noioso, ma noioso tanto. Insulso, inutile. Niente … il vuoto .. non capisco. Partendo da un film tanto bello mi aspettavo un libro a dir poco eccezionale… e mi sbagliavo. Leggendolo mi sono accorta di quanto le varie storielle raccontate su Edward Bloom siano slegate e anche un po’ scarne e quindi adattabili cinematograficamente con una certa libertà arricchendole di molti elementi che non fuorviano ma regalano più magia. Già, la magia delle immagini. Peccato che un libro dovrebbe avere la stessa magia delle immagini, che permettano al lettore di vedere con la mente quello che sta leggendo (Il signore degli Anelli è un esempio di capacità di creare perfette immagini nella mente del lettore). Invece Big Fish non ha questa capacità. È la collezione privata di alcune storielle di famiglia, quelle che girano attorno al personaggio di Edward Bloom, uomo nato in una giornata di pioggia e che dal nulla è diventato un eroe, un rispettabile uomo d’affari, un superuomo, un viaggiatore, etc… Le storie vengono raccontate al lettore con una semplicità disarmante (e disarmante in questo caso non è un complimento) in un momento molto particolare della vita di Edward: la sua prossima dipartita a miglior vita. Il Signor Bloom è steso da giorni nel letto della camera degli ospiti in procinto di salutare la terra e, alternativamente, gli fanno visite la moglie Sandra, il figlio William e il Dottor Bennet. I tre si trovano in casa con lui ed ogni momento pare essere ottimo per fare quelle che poterebbero essere le ultime chiacchere. Dico chiacchere perché Edward Bloom continua a scherzare, non vuole discorsi seri, grandi parole o silenzi solenni, no no lui continua a raccontare storielle buffe e barzellette facendo infuriare William, che si chiede come il padre non riesca ad essere serio nemmeno in un momento così. Come dice la quarta di copertina “a furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie”; questo è esattamente quello che è accaduto ad Edward Bloom, non si scindono più le storie fantastiche da quelle realmente accadute. Lui è tutte quelle storie, né una di più né una di meno. Ho cercato di capire se vi fosse un qualche significato allegorico dietro tutto questo; la forza della vita sulla morte? La capacità di non arrendersi? Sinceramente se esiste, io non l’ho trovato. Così l’unica idea che mi sono fatta è che sia un libro costruito in modo alternativo (con buona originalità) ma fondamentalmente vuoto. Vi si può scorgere qualche insegnamento, qualche morale, ma sicuramente è vuoto. Non lascia nulla, non aggiunge nulla. Racconta storie fantasiose (molto fantasiose) che rasentano l’assurdo e la mitizzazione… ok, fermi tutti… Non voglio dare un’immagine così negativa del libro, però è veramente difficile dire dei pregi. L’unico forse è la poetica. Si la poesia. Le storie emanano un non so che di aulico… credo sia il linguaggio misto al contenuto, ma rende questa impressione. Leggetelo. Sono 187 pagine. Sembrano poche e sicuramente numericamente lo sono, ma non sarà così rapido come pensate. Magari qualcuno di voi mi farà notare cose che mi sono sfuggite. Mi piacerebbe davvero trovare un qualche elemento interessante, ci ho provato ma non ci riesco. Non riesco nemmeno a ricordare una delle storielle raccontate… non credo sia un buon segno!

giovedì 23 agosto 2012

Nostra Signora della solitudine


Inizio: 14 agosto 2012
Fine: 14 agosto 2012

Avevo letto un solo libro di Marcela Serrano e mi era piaciuto moltissimo; questo mi è piaciuto ancora di più. Non che avessi dubbi, ma la lista di libri che leggerò di questa meravigliosa autrice sarà decisamente lunga…
Chiunque abbia studiato la storia dell’America Latina sa che la scomparsa è un tema che tocca generazioni intere. La ricerca dell’identità, la solitudine, la sofferenza sono scritte nel dna di questo continente e dei suoi abitanti. Marcela Serrano è cilena e non fa eccezione; è seconda solo ad Isabel Allende in Cile e le due scrittrici sono accumunate da molti elementi culturali, che non sono solo loro, sono un patrimonio di tutti. In questo libro si racconta la vicenda di una donna, Carmen Lewis Avila, scrittrice di successo e donna di fascino. Fascino nel senso vero della parola, non solo fisico … carisma allo stato puro. Quando scompare nel nulla il marito, Tomas, affida ad una detective, Rosa Avallay, il compito di scoprire cosa sia successo alla moglie. Non è che si possa tanto facilmente definire questo libro un giallo, perché si rischierebbe di sminuirne il contenuto, tuttavia si può leggere anche in questo modo. C’è un mistero da risolvere, scoprire cosa sia successo a Carmen e quindi se vogliamo, possiamo anche etichettarlo così. Rosa comincia a muoversi nell’ambiente famigliare di Carmen, cercando di raccogliere informazioni utili circa la donna che deve trovare; ascolta amici, famigliari, domestici, chiunque abbia qualcosa da dire in merito a questa figura che Rosa deve ricostruire da capo a piedi. E non è cosa facile. Quello che piano piano si delinea è molto diverso da quello che ci viene fornito all’inizio. Rosa si trova di fronte immagini sempre più complesse che le fanno capire quanto sia profonda e complicata la figura di Carmen; descritta da tutti come molto brillante in realtà ci appare come una donna fragile, algida, disinteressata al mondo. Cosa può aver spinto questa donna ad andarsene? Rosa oramai è convinta che non le sia successo niente, che sia un allontanamento volontario.. ma perché? Una vita agiata, al fianco di un uomo innamorato che l’ha raccolta tempo addietro come una bambina spaventata e l’ha resa la regina della sua casa, anche contro il parere della figlia di lui. E poi c’è Vicente… cosa può spingere una madre a lasciare un figlio? Oramai è un uomo, si è sposato, per anni ha vissuto all’interno della nuova famiglia ed è stato trattato come un figlio (anzi meglio della figlia di Tomas, Ana Maria). Anche se Vicente non è figlio suo, ma solo di Carmen. Non si sa chi sia il padre. O meglio, solo Carmen lo sa. Tomas è convinto che Carmen sia stata rapita da esponenti della guerrilla colombiana per via di una vecchia storia con un combattente arruolato alla guerrilla. Eppure se anche fosse, non le farebbero del male, mai, proprio in nome di quel vecchio rapporto, nessuno la tratterrebbe contro la sua volontà. Ana Maria pensa che Carmen se ne sia semplicemente andata, così, stufa di una vita che non rispecchiava quello che lei veramente voleva dalla vita, abbandonando un uomo al quale probabilmente voleva bene si, si ma che non amava. Un uomo per quale aveva fatto l’indispensabile ma nulla di più. Non aveva mai cambiato la sua natura di donna indipendente e selvaggia. Quasi tutte le strade portano Rosa in un vicolo cieco. Fino a che il suo capo non decide  di spedirla in Messico. Il Messico aveva rappresentato per Carmen una tappa fondamentale della sua vita e forse lì si possono trovare risposte a vecchie domande o risposte a domande che ancora nessuno si è posto. Così Rosa si allontana da Cile e parte per una nuova avventura, che ha molto di personale, visto che anche lei, per il Messico,  ha un debole. E forse questa vicinanza emotiva permetterà all’investigatrice di ragionare come Carmen e a ricostruire una parte della sua vita sepolta e sconosciuta a molti, ma non a tutti.
Un libro davvero bello, scorrevole ed interessante, che vi terrà incollati fino all’ultima pagina. Io l’ho divorato in un giorno e scommetto che lo stesso capiterà a voi non appena leggerete le prime pagine. La Serrano conquista tutti!

Tortuga


Inizio: 14 agosto 2012
Fine: 15 agosto 2012


Sono davvero rimasta piacevolmente colpita da questo libro. L’ho comprato tempo fa su IBS e già da un po’ giaceva sulla mia libreria, in doppia fila. I pirati e il loro mondo rappresentano una parte di storia che mi ah sempre molto interessato. Al di là dei meri avvenimenti storici, scrivere di pirati e scrivere bene, non è così facile. Quindi, guardavo il libro di Valerio Evangelista chiedendomi se dentro quelle pagine avrei davvero trovato quello che cercavo. Ma le vacanze sono vacanze e così mi sono portata in montagna una dozzina di libri da leggere… Tortuga è tra quelli.
Rogerio de Campos è un portoghese a bordo di una nave spagnola, la Rey de Reyes. È un nostromo e, quando i pirati attaccano la nave su cui viaggia, è uno dei pochi risparmiati. Lorencillo (Laurens de Graaf), a capo del Neptune (ciurma appartenente ai pirati dei Fratelli della Costa), lo risparmia perché l’Ammiraglio De Grammont ha bisogno di un nuovo nostromo. A stare a sentire la ciurma del Neptune, Lorencillo può essere considerato un santo o un simpatico burlone se paragonato alla ferocia che sembra avere l’ammiraglio. Rogerio è scioccato per la violenza inaudita di Lorencillo e della sua ciurma. L’uomo è un ex gesuita e come uomo religioso non sembra tollerare i comportamenti violenti e gratuiti perpetrati dalla ciurma sull’equipaggio del Rey de Reyes, figuriamoci accettare la vita che gli si prospetta davanti. Non sa cosa aspettarsi, ma non ha scelta, passa sul Neptune e diventa un Fratello della Costa. In realtà, nonostante le sue paure, la vita sul Neptune comincia bene e l’uomo, rapidamente, si guadagna la stima di quasi tutta la ciurma: si presta a qualsiasi tipo di lavoro, si da da fare, sembra instancabile, in più … placa le tempeste con una semplice preghiera. La ciurma si convince di aver acquisito un ottimo elemento e Rogerio comincia a credere che forse questa vita non è così male come pensava. Certo non è facile sopportare alcuni atteggiamenti che Rogerio trova brutali e vergognosi (come ad esempio la sodomizzazione dei mozzi, ragazzini di dieci undici anni, da parte della ciurma), ma cerca di adattarsi come può e riesce perfettamente nell’integrazione. Il suo posto però non è a bordo del Neptune, Lorencillo infatti lo sta portando a conoscere l’Ammiraglio De Grammont, che comanda Le Hardi. Rogerio però non vorrebbe abbandonare il Neptune; a bordo si trova qualcuno (che lui definirebbe un qualcosa) al quale tiene molto. In seguito ad uno scontro la carena del Neptune si era completamente allagata e gli schiavi, legati, erano morti tutti; il gesuita era riuscito ad intervenire in tempo per salvare un’ultima schiava dall’annegamento. Da quel momento Rogerio considera questa donna come fosse sua, come se gli appartenesse. Le porta le sua razioni di cibo, acqua fresca, le parla molto cercando di farle intendere le sue pacifiche intenzioni, nessuno vuole farle del male. Cerca a lungo di mantenerne segreta la sopravvivenza, tuttavia Lorencillo sa perfettamente che una donna tra gli schivi è sopravvissuta e, vista la sua bellezza, decide di non venderla ma di donarla all’Ammiraglio De Grammot. Ovviamente questa, per Rogerio, non è una buona notizia ma è un’opportunità in più per non perdere la donna, che viaggerà con lui su Le Hardi. In uno dei vari abbordaggi a scopo di saccheggio, Lorencillo viene informato che re Luigi XIV ha promesso pace alla Spagna e condanna apertamente la pirateria a danni di galeoni spagnoli. La Filibusta non ha più l’approvazione reale, deve smettere di saccheggiare i mari in lungo e in largo e soprattutto non deve infastidire le navi spagnole. Questa è una cosa inaccettabile; sono le navi che rendono di più, ricche d’oro, d’argento, di schiavi ed anche di cibo. La Filibusta si riunisce per discutere della questione, come una piccola democrazia. Finalmente Rogerio conosce l’Ammiraglio De Grammot, che, nonostante tutto quello che lo ha preceduto, non sembra spaventarlo, non sembra impressionarlo particolarmente. Forse anche perché De Grammot è malato di gotta e non riesce a mantenersi in piedi per molto tempo se non grazie agli intrugli del medico di brodo (e personale) Exquemeling. L’immagine che ne ha il gesuita è quella di un povero vecchio. Il povero vecchio, invece ha forza da vendere e un carisma incredibile; decide che non ci si può assolutamente piegare al volere di un sovrano a chilometri di distanza e decide di andare a saccheggiare una città con una difesa straordinaria: Campeche. Tutta la filibusta parte per l’impresa. Rogerio nel frattempo cerca di vedere sempre più spesso la sua schiava, che ora passa il suo tempo chiusa in una stanza attigua a quella dell’Ammiraglio e si ingegna affinché la ragazza gli venga consegnata da De Grammot come ricompensa. Non importa quali siano le ragioni dell’Ammiraglio, il gesuita farà ogni cosa in suo potere (ogni cosa) per avere ciò che egli crede suo di diritto.  Rogerio si sta spingendo ben oltre il consentito.
Non vi rivelo l’ultima parte di questa storia davvero avvincente, nella quale si può vedere l’evoluzione di Rogerio da religioso a spietato pirata. C’è un substrato molto consistente che parla proprio di quesito: di come Rogerio cambi, in modo radicale; ci sono colpi di scena che permettono al lettore di venire a conoscenza di elementi importanti per la valutazione generale delle cose… e poi la fine… bè vi renderete conto di quanto Evangelisti sia stato bravo! S’è salvato dalla fine più scontata e moralista. Si intravede invece la provvidenza, l’equilibrio delle cose, la suprema giustizia. Leggetelo!! Rimarrete soddisfatti sia dalla storia che dalla scrittura di questo bravissimo autore!

mercoledì 22 agosto 2012

La formula del Professore


Inizio: 26 giugno 2012
Fine: 21 agosto 2012


Dunque… cerchiamo di dare un parere obiettivo. Non posso dirvi che sia un brutto libro, no brutto no. Forse un po’ noioso si. Però d’altro canto descrive molto bene il modus vivendi dei giapponesi, quindi da un punto di vista socio culturale è decisamente buono. Non mi ha convinto troppo, forse mi aspettavo un libro diverso.. non so nemmeno io. Sarà che il Giappone da un certo punto di vista mi piace molto, da altri non mi appassiona per niente. Con tutto il rispetto parlando per i giapponesi. Devo dare una seconda opportunità a quest’autrice, che non conoscevo prima e che ho conosciuto grazie a questo libro. Io ho un unico contatto con il Giappone.. e si chiama Banana Yoshimoto. Ok siamo su due dimensioni molto diverse. Non credo si possa decidere se un autore piace o meno dopo la lettura di un solo libro, quindi ci riproverò…
È la storia di una donna, una governante, che viene mandata dalla sua agenzia a lavorare nella casa di un professore. A richiedere una governante è la cognata di lui, una signora impettita e molto algida che ha già provato a cercare una domestica per il cognato, ma tutte sono scappate dopo poco tempo. Questo perché il pover uomo, a seguito di un incidente stradale, ha riportato gravi problemi cerebrali; è perfettamente cosciente ed autonomo ma la sua memoria dura solo ottanta minuti. Per questo motivo il suo unico vestito, un completo giacca e pantalone invernale, è buffamente costellato di bigliettini che riportano le cose importanti, quelle che gli permettono di sopravvivere. L’uomo vive solo in una casa distinta da quella della cognata vedova di suo fratello. Il nome della nostra protagonista non viene mai citato ma è lei a raccontare la storia ed è lei il nostro metro di misura. Fin dall’inizio la donna si rende conto della complessità del mondo interiore dell’uomo che ha davanti. Lui non le chiede né come si chiama né da dove viene, ma che numero di scarpe porta. Questa buffa domanda da il via ad una serie di considerazioni matematiche nelle quali cerca via via di coinvolgere la governante. Il professore era un ricercatore matematico e questa sua capacità di lavorare con la matematica non ha sofferto. Ricorda perfettamente tutto ciò che ha studiato e tutto ciò su cui ha lavorato; ancora adesso il professore risolve i quesiti matematici di una rivista mensile. La governante prende in simpatia questo affabile e strano vecchietto che sembra avere molta voglia di insegnare agli altri e gradisca la compagnia. Cerca di rispettare i suoi tempi e le sue piccole ma ingombranti abitudini; si muove leggerissima per la casa pulendo ogni cosa  ma senza cambiare di una virgola la posizione delle cose del professore; quella casa è come lui: caotica ma con un filo rosso che non tutti possono capire. L’uomo la istruisce, letteralmente, su questioni matematiche che lei si sforza di capire per renderlo felice, ma la vera svolta è rappresentata da Ruto, figlio della governante che su insistente richiesta del professore, al ritorno dalla scuola (contro i canoni dell’agenzia) viene regolarmente alla dependance e si ferma con loro fino alla fine dell’orario di lavoro della madre. Anche Ruto, che il professore chiama radice quadrata per via della sua testa un po’ piatta, ha un post-it dedicato sul polso che ricorda al professore chi sia e perché sia lì. Ogni 80 minuti. L’amicizia ed il rapporto tra i tre cresce di giorno in giorno, nonostante la memoria a breve termine. Come fossero una piccola famiglia. La governante cerca di introdurre nella vita del professore piccoli fuori programma, come una passeggiata e una partita di baseball (anche se lui crede che la squadra dei Tigers sia ancora quella degli anni 70). Non vi sono più orari da osservare, non importa se viene pagata per un orario molto ridotto da quello che effettivamente fa ogni giorno, l’importante è regalare un po’ di felicità a quest’uomo che tanto si impegna per aprire loro il mondo della matematica. Un giorno però a sorpresa viene licenziata. Così su due piedi. E altrettanto su due piedi viene riassunta. (non vi dico perché se no vi rovino la storia – non posso rovinarvi l’unico colpo di scena del libro). La loro vita riprende con le stesse vicissitudini e gli stessi problemi di sempre... fino all’undicesimo compleanno di Ruto! Il lettore ha la strana percezione che la familiarità aumenti, che la confidenza aumenti, che i rapporti si intensifichino, ma questo si scontra con la patologia del professore. Come può ricordare cose avvenute 80 minuti prima? Non può. Ogni momento o elemento importante viene annotato dal professore su un nuovo foglietto che fatica a trovare posto sui suoi abiti già stracolmi. Ogni momento condiviso o bello ha un suo post-it, che conferisce al professore solo il potere di prendere nota che la tal cosa è avvenuta, ma non di ricordarla, ovviamente. Su un post it c’è scritto “Ruto, il figlio della governante”, che gli permette di riconoscere il bambino che ogni 80 minuti vede per la prima volta, ma non gli consente di ricordare tutti i momenti condivisi con lui, la quotidianità e le emozioni. Quindi questa percezione di “progresso” ci arriva dalle parole e dal punto di vista della governante perché per lei, ovviamente, tutto quello che è stato vissuto è ben saldo in un passato recente, che lei non dimentica. Mette un mattone sull’altro (operazione che il professore non può fare), costruisce un muro sempre più solido ed il lettore non può non condividere questo punto di vista, perché anche per il lettore le vicende sono fissate in punto preciso del passato. Raccontata così vi chiederete che cosa ci possa essere di noioso… di noioso ci sono tutte le incursioni matematiche! E badate bene che non sono quelle del professore ad essere noiose, ma quelle che ogni volta, successivamente, fa la governante. Sembra di tornare a leggere Il Mago dei Numeri… quindi nel complesso è un po’ pesante, o almeno, a me è sembrato tale.
Leggetelo, in ogni caso ne vale la pena perché è scritto bene, ha un filo interessante, anche se non è che le pagine scorrano così velocemente; chissà mai che qualcuno di voi mi suggerisca un aspetto che non ho considerato o legga in differente modo qualche passaggio.

Se ti abbraccio non aver paura

Inizio: 17 agosto 2012
Fine: 19 agosto 2012



Decisamente molto interessante e sicuramente altrettanto toccante.
Non è però un libro strappa lacrime come si potrebbe pensare, molto dolce e leggerissimo, racchiude pensieri molto profondi ma anche molta forza. Questa è la storia di Andrea, un bellissimo ragazzo (come testimonia la foto) e di suo padre Franco. Più che la storia, narra di un momento particolare della loro vita, forse uno dei più importanti finora: una vacanza di tre mesi on the road partendo dagli Stati Uniti, giù attraverso il Messico, passando per Panama ed arrivando fino in Brasile. Tre mesi di moto, vento nei capelli, mare, sole, tanti incontri, sorrisi… e cosa c’è di stupendo e meraviglioso in questa storia? Tutto, perché Andrea, che ha sedici anni, è autistico da quando ne ha tre. Franco, contro il parere di medici e amici, supportato solo dalla moglie e dall’altro figlioletto, decide di avventurarsi da solo con suo figlio fin dall’altra parte del mondo, sperando che questo viaggio gli insegni qualcosa in più sul mondo che Andrea non lascia intravedere agli altri, fatto di colori, suoni e tanti abbracci. Andrea ama il contatto fisico, adora baciare ed abbracciare la gente, proprio per questa sua voglia di dimostrare amore a chiunque i suoi genitori, quand’era ancora un bambino, avevano fatto stampare tante magliette colorate con scritto “se ti abbraccio non aver paura”. Ci si chiede come l’abbraccio di un bambino possa intimorire qualcuno… ma forse il gesto improvviso non ci permette immediatamente di comprendere, di mettere a fuoco con sufficiente velocità quello che ci viene fatto e ci spaventiamo. Per l’abbraccio, ovvio, non per il bambino. È solo un modo per comunicare affetto o per salutarci, per dire “ehi ciao”. Andrea, comunque, ha un altro modo per comunicare, appreso assieme alla madre, attraverso la tastiera di un computer. Frasi a volte brevi a volte meno, che racchiudono concetti precisi, diretti come fucilate. Chi ha avuto la possibilità di conoscere un bambino autistico, troverà in Andrea tutti gli elementi famigliari che mille volte abbiamo visto e magari faticato a comprendere. L’autismo molto probabilmente avrà diversi livelli, non sarà identico per tutti, ma devo dire che nei gesti di Andrea ho ritrovato gesti di un altro bambino, che ho avuto la possibilità di vedere a lungo. E come già sapevo questi bambini, ragazzi, adulti capiscono perfettamente quello che gli viene detto, ascoltano e comprendono benissimo, la loro difficoltà è comunicare. Spesso, nell’incapacità di riuscire, si arrabbiano, si mordono, si graffiano. Sono solo molto arrabbiati e stanchi di non riuscire a dire quello che provano e pensano. La tastiera è un bellissimo modo per insegnare loro come far arrivare quelle parole che non riescono a dire. Anche il bambino, ormai ragazzo, che conosco io ha adottato questo modo e comunica. Franco, armato di un gran coraggio, decide di fare vivere una esperienza unica e meravigliosa ad Andrea, cercando di aprirgli un mondo nuovo di opportunità, colori e visi sconosciuti. Certo non mancano le preoccupazioni, cosa accadrebbe se Franco si sentisse male? Se perdesse il figlio? Pensieri che ogni tanto lo bloccano, ma poi gli danno nuova forza per andare avanti. Niente del viaggio è stato programmato, solo la prima notte a Miami… poi il resto seguirà come viene. Fulvio Ervas, l’autore, dedica un capitolo ad ogni tappa importante del viaggio di Andrea e Franco; la voce narrante è quella di Franco, ovviamente, che racconta in modo dolce tutto ciò che accade facendo trasparire di tanto in tanto scorci di vita, momenti passati, dolori, preoccupazioni e pensieri verso quel figlio che non potrà mai guarire dall’autismo, conviverci si, ma guarire no. Eppure Franco ha deciso di far vivere ad Andrea questa esperienza con meno filtri possibili, ridotti veramente all’osso; lo lascia molto libero, pur mantenendo un contatto strettissimo a livello mentale, ma fisicamente libero. Arriva al punto di affidarlo ad altri ragazzi e persone che vogliono la sua compagnia. Lo lascia andare, da solo, con persone in apparenza troppo estranee. Ammetto che mi sono detta “che incosciente”, ma poi ho capito che Franco ha ragione ed io non sono nessuno per capire, figuriamoci per giudicare. Ho stimato molto la forza di quest’ uomo, che ha cercato di farsi un poco (o molto) da parte per lasciare al figlio la gioia di vivere come vuole la sua vita, non gli ha negato l’amicizia e l’amore delle persone. Forse anche perché un giorno, lui sappia trovare anche negli altri uno stimolo a vivere ed essere felice, non solo all’interno di quel meraviglioso e sicuro cosmo che è la sua famiglia.
Franco ha dato a tutti una grande lezione di vita. Mi rendo conto che parlo di Franco e poco di Andrea.. che è il protagonista assoluto di questo racconto. Se leggerete il libro vi renderete conto che non potrete non amare questo padre e questo figlio, non potrete non vedere quanto Franco abbia fatto per Andrea, quanto amore sprigioni questo libro. Quanta fiducia e voglia di vivere. E capirete quanto è importante il viaggio di Franco, ancora di più di quello di Andrea.

Non dire notte

Inizio: 16 agosto 2012
Fine: 17 agosto 2012


Ecco finalmente un libro che ti spiazza. Non avevo mai letto nulla di Amos Oz e, sinceramente, non sapevo nemmeno che esistesse un autore con questo nome (vergogna, vergogna!). la prima volte che ho letto il nome ho perfino pensato che fosse un autore australiano.. per via di Oz.. Mi è capitato tra le mani quasi per caso. Prima di partire per le vacanze sono passata a prendere un paio di libri, così… affinché non mi mancassero… e così ho afferrato un libro di Marcela Serrano (uno così a caso, se è della Serrano va sempre bene…), uno di Zivkovic e questo… la copertina mi piaceva. Scelta abbastanza varia e veloce a causa del pochissimo tempo a disposizione. Tuttavia sono felicissima di avere preso Non dire notte. Se vi dovessi davvero spiegare il perché di questa felicità, onestamente non saprei da dove cominciare, non è sempre facile spiegare cosa ci è piaciuto o cosa ci ha colpito di un libro. Solitamente è più facile descrivere i difetti che non i pregi. In ogni caso cercherò di trasmettere a voi quello che ha trasmesso a me. Entriamo in punta di piedi nelle loro vite: Noa è un’insegnante di letteratura e Theo è un ingegnere edile; i due sono una coppia da ormai sette anni, vivono a Tel Kadar ed hanno una differenza d’età di quasi quindici anni. Non hanno figli, non sono sposati e sono molto diversi tra loro, non tanto per una questione d’età (inizialmente ci pare quasi che siano due vecchietti in pensione!!!), ma da un punto di vista caratteriale. Il loro carattere si delinea piano piano lungo tutto il racconto. Il libro si può dividere idealmente a metà, alcuni capitoli sono raccontati da Noa, altri da Theo. La cosa interessante di questo racconto a due voci è che ci aspetteremmo di conoscere di più di Theo attraverso le parole di Noa e viceversa. Invece no. O meglio, Oz è molto bravo a darci l’impressione che un personaggio descriva e aiuti a comprendere l’altro, ma è altrettanto bravo a permetterci di capire la personalità dei protagonisti attraverso quello che loro stessi dicono. E fin dall’inizio, secondo me, è inevitabile farsi un’idea su entrambi. La loro vita procede normalmente fino a quando la scuola nella quale lavora Noa viene scossa da un fatto insolito e triste: un ragazzo, Immanuel, è morto in seguito ad un’overdose. Era un suo alunno. La morte del ragazzo inizialmente non scuote particolarmente la coscienza di Noa, è dispiaciuta, si, come lo sarebbe chiunque, è amareggiata per questa scelta sbagliata che Immanuel ha pagato con la morte, ma sicuramente non è coinvolta. Qualcosa comincia cambiare quando inizia a ricevere alcune informazioni che le elargiscono in modo gratuito: Immanuel amava la letteratura, Noa era la sua insegnante preferita, forse ne era anche innamorato, davvero non se ne era mai accorta?? A questo quadro sia aggiunge la richiesta del padre di Immanuel, rientrato in fretta e furia dalla Nigeria, di creare un centro di recupero per i ragazzi tossicodipendenti a Tel Kadar. Tutta la gestione ricadrà sulle spalle di Noa proprio perché Immanuel avrebbe voluto così. Qui comincia un’altra fase del libro, in qualche modo: all’inizio vengono presentati Noa e Theo nella loro quotidianità, qui la loro normalità comincia a vacillare. Theo è un uomo estremamente influente su tutti, pare risplendere di luce propria, ogni cosa che fa gli riesce molto bene e sa già che l’impegno che Noa si è assunta, senza peraltro avere motivo o dedizione per farlo, rappresenterà una grossa delusione ed una disfatta eclatante. Lui potrebbe tranquillamente aiutarla, ma le ha promesso che ne starà fuori, le ha promesso che non si impiccerà mai, che lei andrà avanti da sola e con le sue forze perché deve dimostrare a se stessa (e agli altri) che lei è Noa e riesce bene anche senza Theo. Così lui ne resta lontano, non si interessa di tutto quello che assorbe il tempo di Noa. Impegni, incontri, meeting, che la trascinano fuori di casa alle sei di mattina e le permettono di rientrare solo a tara sera. Si, perché non è che la cittadinanza sia così felice di avere dei tossici da internare in una struttura modello. Temono che questo porti altri tossici, spaccio di droga, criminalità, no grazie insomma. L’impegno che si è assunta con tanta pompa magna comincia a fare acqua da tutte le parti… ma Theo, come richiesto, non mette mano per aiutarla, o favorirla con la sua influenza, non intercede per lei, non mette una buona parola dove servirebbe. No grazie, Noa vuol fare da se.
Non voglio raccontarvi altro. In realtà, come vi ho già detto, la trama è molto semplice ma non è questo l’aspetto fondamentale di questo libro. Il punto di forza sono i personaggi, le loro personalità, i loro modi di affrontare la vita, i problemi, di affrontarsi l’un l’altro quotidianamente e imparare ogni giorno qualcosa di più.
Vi consiglio caldamente di leggerlo! Mi verrebbero in mente almeno tre domande da farvi… per vedere se alla fine abbiamo dedotto le stesse cose da questo bellissimo spaccato di vita. Ve le lascio qui sotto…
-      Chi tra Noa e Theo è più innamorato?
-      Chi tra Noa e Theo è più maturo?
-      Come definireste l’avvicinamento di Noa a Tal? 
Scusate, sembra un compito in classe!!! Hahaha non lo è giuro! Poi vi dico come la penso io!!!!!

lunedì 20 agosto 2012

L'Ultimo Libro

inizio: 11 agosto 2012
fine: 14 agosto 2012

Sicuramente non è all’altezza di Sei Biblioteche. Che dire, sono abbastanza perplessa… mi aspettavo qualcosa di più da questo autore che con il suddetto libro si era presentato così bene… ed invece questa è stata un po’ una grossa delusione. Grossa anche perché ero convintissima di trovarmi davanti ad un giallo bellissimo. Mi sembrava di rivivere lo sconforto provato leggendo La Biblioteca delle Anime. Qui la trama non è così scontata, tutt’altro, ti prende moltissimo, incalza fino alla fine, mancano poche pagine e non puoi far altro che divorarle pensando che devi assolutamente sapere… e poi, il libro è finito, la spiegazione è breve, assurda e confusa! E resti lì pensando che forse ti è sfuggito qualcosa. Non, in realtà non ti è sfuggito nulla, è proprio la fine che è assolutamente assurda. Non trovo altro termine per definirla. Ma andiamo con ordine… l’ispettore Dejan Lukic viene chiamato per via di un cadavere alla libreria Il Papiro, gestita dalla signorina Vera e dalla sua socia Olga. È Vera ad esporre i fatti: un uomo, che leggeva beatamente seduto su una poltrona non ha risposto ai suoi richiami al momento della chiusura; la signorina pensando fosse addormentato s’era accostata e lo aveva toccato… lui era già cadavere. Cosa può esserci di strano in una morte così? Nulla molto probabilmente, il povero uomo potrebbe avere avuto un infarto o qualcosa di simile. Tuttavia il medico legale non riesce a stabilire una causa certa della morte, niente infarto, niente aneurisma, niente ictus, niente di niente. Niente morte per cause naturali insomma. Il mistero si infittisce quando a quella dell’uomo segue anche quella di un ragazzo, sempre al Papiro. Anche per lui, nessuna causa apparente. Nessuna causa naturale perlomeno. Ma allora cosa uccide queste persone, sempre che di omicidio si possa parlare? Dejan e Vera cominciano a frequentarsi, inizialmente per chiarire alcuni punti investigativi. L’ispettore ha bisogno di molti particolari per cercare almeno alla lontana di raccapezzarsi in questo labirinto. Viene così a sapere qualcosa di più sulla libreria e su chi normalmente la frequenta: clienti normali e “pazienti” come li chiama Vera; clienti un po’ strani, diremmo noi, con qualche piccola mania o qualche rotella fuori posto, ma comunque gente innocua, che gironzola abitualmente per la libreria e che Vera ed Olga accettano ben volentieri. Niente insomma di così anomalo da poter giustificare quelle morti. Chi c’è dietro dunque? Forse il terrorismo che sta tentando di diffondere veleni altamente tossici sui libri? Armi chimiche?? Sembra di rivivere Il Nome della Rosa di Eco. La squadra dell’Antiterrorismo si mette all’opera, non prima di aver attentamente messo sotto intercettazione chiunque (polizia compresa), ma nemmeno loro sembrano trovare una strada plausibile, armi chimiche comprese, escluse all’istante. Un altro cadavere infittisce il mistero, quella di una donna questa volta.. una di quelle che Vera definisce “pazienti”. L’unica cosa che sembrerebbe collegarsi a queste morti è la presenza ormai certa dell’Ultimo Libro. Un libro con una potenza straordinaria che pare uccida chiunque lo legga. A raccontare, o meglio, a far trapelare questa teoria è però uno dei “pazienti” della libreria. Che fare? Credere ed indagare oppure lasciar perdere? Dejan decide di seguire questa unica pista visto che non ve ne sono altre percorribili….
Non vi voglio raccontare altro. C’è ben poco da raccontare in realtà arrivati a questo punto, se non la fine di questo giallo; la trama merita, è davvero intrigante, ma nulla più. Io sono rimasta davvero delusa dalla fine, dalle ultime pagine. Non ve lo consiglio onestamente. Credo che un giallo si componga di vari elementi: trama, originalità, colpi di scena, deviazioni, cambi repentini, spiazzamenti… c’è quasi tutto, quasi… manca un finale decente.