mercoledì 27 marzo 2013

Suggerimento #1 Marcello Simoni


Volevo segnalarvi che su IBS sono disponibili i 5 ebook della saga "Rex Deus. L'armata del Diavolo" del bravissimo Marcello Simoni a soli 0,49 cent l'uno! Sono assolutamente imperdibili! e poi sapete bene che Simoni è una garanzia!!!!


domenica 24 marzo 2013

La rotta dei Libri #2 Desaparecidos


Vi propongo una seconda rotta in questa giornata che in Argentina è ricordata come il primo giorno della dittatura di Videla. Ho scelto delle letture che abbiano come tema i desaparecidos argentini, un argomento al quale tengo molto e sul quale ho fatto la mia tesi di Laurea. Partendo da documenti ufficiali come le lettere delle prigioniere, passando attraverso un testo bellissimo come il romanzo della De Robertis per approdare a Tre Cavalli di De Luca. 





Il primo libro è disponibile su IBS a 9,90 (di solito costa 22€) ed è un racconto corale di 112 prigioniere della dittatura argentina. Memoria del Buio raccoglie ricordi crudi e sofferti. Sono i resoconti ufficiali della ferocia inaudita di una dittatura folle che ha torturato e ucciso migliaia di persone. 



Il secondo invece è un romanzo di Carolina De Robertis, che tratta un tema correlato a quello dei desaparecidos, ovvero la sottrazione di bambini (figli dei prigionieri) e la loro ripartizione tra i militari, i quali li adottavano illegalmente. Molti ragazzi argentini sono cresciuti con coloro che hanno ucciso i loro veri genitori. La ragazza dai capelli di Fiamma, 13,94€, racconta la storia di Perla Correa che deve affrontare la dura realtà della sua vera identità, con tutto ciò che ne comporta.

Il terzo, Tre Cavalli, 5,52 €, di Erri De Luca, racconta la dittatura attraverso un viaggio attraverso il Sud America; come solo De Luca sa fare, immagino che la trasformerà in una fiaba delicata. 

Spero che a qualcuno di voi interessi questo viaggio spinoso attraverso una guerra sconosciuta ai più, ma che ognuno di noi dovrebbe conoscere.

La rotta dei Libri #1 America Nera

Inauguriamo, su questo blog, un'iniziativa che porto avanti già da qualche mese con alcune amiche. Mi sono però accorta che un mia vicina blogger aveva sviluppato un'idea molto simile, o almeno così mi sembrava. E mi sono fermata. Dopo averne parlato con la dolcissima Cami abbiamo dedotto che le nostre iniziative, all'apparenza simili, sono in realtà abbastanza diverse. Vi segnalo la sua, che si chiama Tre Gradi.  
Adesso vi introduco la mia iniziativa...



La rotta dei libri.

La stragrande maggioranza dei libri può essere inserita in un contesto più ampio che unisca in modo immaginario un punto A ed un punto B, che li renda parte di un percorso di lettura specifico. Si può riconoscere un filo rosso che lega autori e romanzi nello spazio e nel tempo. Un filo diverso a seconda di quello che vogliamo seguire. L'idea è quella di mettere in relazione due o tre romanzi, leggerli uno dopo l'altro, esaminando elementi comuni e differenze. Ovviamente ogni percorso ha un suo senso letterario, socio-culturale, etc.. che viene citato all'inizio del post.

La prima rotta che vi propongo nasce da un interesse personale, nato per caso studiando la storia degli schiavi in America Latina. Intraprendo questo percorso, che parla della radice nera americana, nel Nord, negli sconfinati Stati Uniti. Si parte dalle navi cariche di schiavi di colore in arrivo dall'Africa, si passa attraverso la guerra civile americana e l'apartheid dei neri d'America. Si sofferma sulla figura incredibile di Martin Luther King e decide di virare nella cosiddetta slave literature. 























America Nera: la cultura afroamericana (Fabi M. Giulia)I have a Dream.

L'autobiografia del profeta dell'uguaglianza (King Martin Luther)

Vita di una Ragazza Schiava. Raccontata da lei medesima (Jacobs Harriet)

Penso che questo percorso possa aprire spunti interessanti sia da un punto di vista culturale che storico e permetta di approfondire una piaga sociale, come quella razzista, ancora purtroppo esistente nella nostra società.

Fatemi sapere cosa ne pensate!!!

venerdì 22 marzo 2013

Nicolas Eymerich, inquisitore


Inizio: 16 marzo 2013
Fine: 22 marzo 2013

Presente. Futuro. Passato.

Voi non mi vedete ma, a me, stanno brillano gli occhi! Io un libro così, lo avevo giusto immaginato, mai avrei osato sperare esistesse… è evidente che se sei una fan scatenata di Star Trek (e di quel genere di mondo) e lo sei altrettanto del medioevo, hai poche speranze di vedere riunite le tue preferenze. Anche perché la domanda scatterebbe in automatico: oh Signore, che roba è?

Invece esiste, è bellissimo, e attacca così:

Presente. Giorni nostri. Texas. Marcus Frullifer pedina, per l’ennesima volta, il dottor Tripler (astrofisico) all’uscita dell’università. Stavolta è deciso a non mollare fino a quando non gli avrà esposto la sua rivoluzionaria teoria sull’esistenza ed il funzionamento degli psitroni. Secondo Frullifer il cervello crea una sorta di campo che interferisce con le altre particelle, modificandone la natura. Gli psitroni (particelle simili a neutrini), viaggiano a velocità superiore a quella della luce e vengono proiettati da un cervello all’altro attraverso fasci di energia. Danno luogo ad una distorsione spazio-temporale e possiedono un corredo di informazioni, ma quando giungono al prossimo cervello. È come se il tempo non esistesse. La comunicazione è immediata. Frullifer porta tre dimostrazioni a supporto della sua tesi ma viene inesorabilmente buttato fuori, senza troppi complimenti.

Futuro. 14 novembre 2194. Commissione interspaziale di Cartagena. Un ragazzo inglese di 29 anni sta facendo un resoconto davanti alla commissione, riguardo un viaggio: quello dell’astronave psitronica Malpertius. Il giovane vi si è imbarcato per lavorare (anche se non gli era ben chiaro quale fosse il suo compito) assieme ad altri viaggiatori interstellari. A bordo della nave vi sono tre Guide psitroniche di riserva e l’inquietante Medium Sweetlady, l’abate Capo-Guida. L’astronave batte bandiera della Repubblica Libertaria di Catalogna, ma è evidente che ciò sia solo una copertura. Sembra una gigantesca raffineria, piena di pinnacoli che vengono chiamati “rocchetti di Frullifer”. Alla fine il ragazzo prende il suo posto assieme ad altri 1023.

Passato. 1352. Saragozza. Nicolas Eymerich è un domenicano di 32 anni ed è un inquisitore. Per quanto le antiche disposizioni di Clemente V fissino un’età minima di 40, l’inquisitore generale, padre Agustin de Torrelles, in punto di morte, lo nomina suo successore. Eymerich è il più preparato e non vi sono inquisitori che abbiano l’età richiesta (sono tutti o quasi morti di peste, come sta morendo lo stesso Agustin), Clemente VI capirà. Prima di morire rivela ancora un’altra cosa: ha scoperto qualcosa di raccapricciante e spaventoso nella cisterna (il pozzo dell’Aljaferia era stato utilizzato quattro anni prima, durante la peste nera, come cimitero … vi venivano buttati i cadaveri; poi ne erano state ripescate le spoglie e fumigati i corridoi). La morte si porta via le sue ultime parole. Il giorno dopo però, Nicolas, viene informato dal capitano delle guardie, mandato da lui a controllare i corridoi adiacenti alla cisterna, che qualcosa di inenarrabile esiste davvero.

Da qui in poi le tre storie si intrecciano, diventando un’unica storia che passa attraverso secoli e mondi diversi. Mentre Marcus Frullifer lotta perché le sue teorie vengano accettate (e pubblicate), l’anonimo di Liverpool continua il suo racconto di quei giorni a bordo della Malpertius, sempre più inquietanti e dominati dalla rivoltante figura dell’abate Sweetlady. Eymerich dal canto suo si trova a risolvere il mistero di corpicini deformi che compaiono misteriosamente sull’orlo della cisterna di Aljaferia. Su di lui (che alla fine è protagonista anche nel titolo) Evangelisti si sofferma un po’ di più. Ottenute le autorizzazioni per rendere ufficiale la sua nomina, si concentra sul mistero dei neonati deformi che appaiono e magicamente scompaiono, dissolvendosi nel nulla. Strane apparizioni e una strana congregazione di donne, rendono il mistero ancora più fitto. E già il lettore mette in relazione le spiegazioni di Marcus alla dottoressa Cynthia Goldstein con quanto vedono gli occhi di Eymerich. Sa già cosa sono. Sa perfettamente che quelle apparizioni, quei corpi che si dissolvono non sono realmente lì, sono solo proiezioni psitroniche. Sa anche che Marcus ha ragione; quella sua scoperta avrà un seguito, ne è la prova il racconto dell’anonimo di Liverpool, che a bordo di un’astronave psitronica c’è stato. E che in un futuro lontano da Marcus ed impensabile per Nicolas, sta denunciando quanto accaduto. L’incubo esiste già.

Questo libro mi è piaciuto molto; ho apprezzato particolarmente la capacità di incrociare situazioni così lontane nel tempo e nello spazio senza creare confusione al lettore. Non provo particolare simpatia per il personaggio di Nicolas, ma credo che Evangelisti lo abbia costruito in modo così ostile per un qualche motivo che ora mi sfugge. Alla fine è pur sempre un Inquisitore e non è che questa figura possa suscitare molte simpatie. È fermo nelle proprie idee, anche se non sembra avere questa grande fede in Dio, combatte eresie che non vede nemmeno come tali, è spinto (come quasi tutti i religiosi di allora) dal potere e dalle ricchezze. Combatte gli infedeli con insistenza, etichettandoli come un male. Conosco bene la Spagna islamica di quei tempi, conosco lo splendore e l’erudizione portata dai musulmani, la loro alta tolleranza, lo scambio culturale costante tra cristiani, berberi, arabi ed ebrei. Pochi sanno che la Spagna, sotto la dominazione musulmana ebbe straordinarie innovazioni e godette di innumerevoli miglioramenti. Ognuno veniva tollerato ed era a suo modo integrato. Ma poi, la riconquista cristiana iniziata da Ferdinando II d’Aragona (portata avanti anche con l’aiuto dio Isabella di Castiglia) ha distrutto tutto quel mondo fiorente e rigoglioso, in estrema pace nonostante le differenze. Con la caduta dell’ultimo regno musulmano, quello di Granada, nel 1492, si chiude uno dei più bei capitoli culturali e sociali della storia spagnola.

Ah, un’ultima cosa. Solo una considerazione. Come quello di Tolkien, anche questo è un fantasy moooolto politico. Trapelano ovunque le idee di Valerio Evangelisti. In modo meno velato rispetto a quello di Tolkien che ha vissuto in un altro momento storico, un po’ meno democratico.

Ps:la scena in cui viene ucciso il rex nemorensis, mi ha ricordato l’ultima scena del film “The chronicles of Riddick”… quello che uccidi diventa tuo.

mercoledì 20 marzo 2013

City


Inizio: 11 marzo 2013
Fine: 19 marzo 2013

°_° E no Alessandro. Sono veramente arrabbiata. Che cosa diavolo hai scritto?? Che cosa mi rappresenta questo libro??? Scusami Baricco, a me di solito piaci, ma sto giro hai proprio toppato. Fermo restando che non mi è stata chiara per tutto il tempo la trama di questo libro, né il filo rosso che lega i personaggi, vorrei anche capire primo, che personaggi hai scelto e secondo, ma che razza di storielle solo?????

Ricapitoliamo. In una città non meglio definita si sta facendo una votazione telefonica per tenere in vita o meno un personaggio dei fumetti, quando, una delle operatrici telefoniche, Shatzy Shell, riceve una strana telefonata da un ragazzino di nome Gould (un genio assoluto già laureato a soli tredici anni). Viene licenziata mezz’ora dopo per non essersi limitata a rispondere, annotare, ringraziare e chiudere la comunicazione. Shatzy incontra Gould e i suoi due amici strampalati Poomerang (un ragazzone rapato a zero e sempre vestito di nero) e Diesel (un ragazzone alto e grosso). La ragazza accetta di buon grado di diventare la nuova governante di Gould, che vive solo, lontano dal padre (ufficiale dell’esercito, che lo chiama ogni giorno alle 19:15) e dalla madre (ricoverata in una clinica psichiatrica da quasi sei anni) a due passi dal suo college. College che frequenta con passione e profitto, seguito da ventisette professori diversi. E potremmo fermarci qui. Punto. Nel senso che non si va oltre. Non c’è assolutamente nient’altro da dire a riguardo! Peccato che questa storiella assurda venga farcita di altrettante storielle assurde, che incasinano la trama in modo esponenziale di pagina in pagina. Volete qualche esempio? Shatzy dalla più tenera età sta scrivendo un western ed ogni tanto passa da un dialogo (che in questo caso è un eufemismo) con Gould alle appassionanti vicende delle sorelle Dolphin, di Pat Cobhan, di Bird, etc; il rito del barbiere si trasforma in un omicidio volontario e lesioni ad incapace; ogni due per tre seguiamo per radio (ogni volta che Gould va in bagno) le vicende si Larry Gorman, pugile infallibile e del suo maestro Mondini; gli amici di Gould, Poomerang e Diesel parlano per tutto il libro nondicendo … (no ma vi rendete conto??); lacrime, vaneggiamenti e attacchi di nausea del professore di fisica quantistica di Gould, il Signor Mondrian Kilroy, pervadono i capitoli; allo stesso modo le parole secche come un rotolo di paglia nel deserto dell’allenatore Taltomar; e in ultimo non dimentichiamoci la roulotte gialla, in attesa di una macchina che la porti in giro. E potrei continuare a iosa, a gogò, perdendomi nella notte dei tempi. Ora, io mi chiedo perché. Perché Baricco ha scritto sta roba?

Poi arrivi alle ultime 100 pagine e Baricco, così, tra una divagazione e l’altra, cuce insieme le storie che fino ad ora non avevano un senso e taaac, tutto torna. Torna facendoti pensare che alla fine un senso ce l’ha e ha anche un non so che di magico. A metà tra un romanzo molto triste e pieno di scontri con la vita e una storia alla Beautiful Mind. Tutto si collega e tu capisci, quasi senza ombra di dubbio, tutto quello che non  hai capito prima. E pensi anche che è decisamente un bel finale. Forse ti spingi anche alla conclusione totalmente inattesa: “è un bel libro”. Ma anche no, non ci cado Baricco stavolta. Io e te differiamo perché per me non basta il finale ad effetto e la spiegazione geniale a fine libro per definirlo “bello”; no Alessandro, proprio non riesco a togliermi di dosso le prime 220 pagine di caos assoluto e la fatica di stare dietro alle tue parole.

venerdì 15 marzo 2013

L'abbazia di Northanger

Inzio: 14 marzo 2013
Fine: 15 marzo 2013

Riprendo in mano questo libro dopo undici anni. Nel lontano 2002 dovetti leggerlo per l’esame di letteratura inglese. Il bello e il sublime, questo era il filo rosso del corso. All’epoca mi era piaciuto molto ed avevo messo 4 stelline, ma in realtà non so bene quanta attenzione ci avessi realmente messo nel leggerlo perché era l’ennesimo libro di questo tipo che la nostra insegnante ci aveva dato da preparare per l’esame.

Catherine è una ragazza normalissima, nell'accezione negativa (se esiste) del termine. Potremmo dire che non spicca per nessuna delle sue doti, sta lì nel mezzo come molte altre, anzi forse, potremmo dire che sta un po’ sotto la media. Eppure Jane ci informa da subito che diventerà un’eroina, perciò non meravigliamoci se così non ci appare nei primi capitoli. Dalla sua abitazione, non lontana da Salisbury, la sedicenne Catherine Morland viene invitata da una sua conoscente, Mrs Allen, a trascorrere sei settimane nella rinomata località vacanziera di Bath, nel sud dell’Inghilterra. Si prospettano per lei interessanti serate ai balli e giornate destinate allo shopping ed alle terme. Ma non sembra così bello quando Catherine si rende conto di non avere altra compagnia che quella di Mrs Allen. Tuttavia l’incontro fortuito con una vecchia amica di Mrs Allen, Mrs Thorpe, le permette di conoscere Isabella, la figlia maggiore e di instaurare un buon rapporto di amicizia. Le due cominciano a condividere l’amore per le serate e gli abiti, i pettegolezzi sugli uomini e i libri, come The Mysteries of Udolpho (di Ann Radcliffe) considerati veri horror dell’epoca. Catherine scopre inoltre che il fratello di Isabella, John, è un caro amico di suo fratello James; un’amicizia chiusa a doppia mandata. Nonostante John si presenti come un ragazzo appetibile, Catherine ha già un altro interesse: Henry Tilney, un giovane conosciuto una delle prime sere. Ma lei, inesperta dell’amore e dei comportamenti che ne conseguono, rifiuta un ballo con lui pentendosene amaramente subito dopo. Nemmeno la conoscenza della sorella di lui sembra riportarle il sorriso, sentendosi sempre più isolata dagli altri. Inoltre, la bella Catherine è costantemente infastidita dal giovane Thorpe che sembra divertirsi a mandare a monte i suoi piani ed a farle una corte serrata, non esitando a mentirle per raggiungere i suoi scopi. In realtà John mente praticamente sempre, esagerando con un’arroganza sfrontata qualsiasi cosa lo riguardi, parlando con ostentata pomposità delle sue miracolose imprese davanti ad una Catherine sempre più indispettita ed annoiata. Cercando di prendere le distanze dai Thorpe (ed anche da Isabella) la giovinetta cerca di fare amicizia con la giovane Tilney, un po’ per affetto un po’ per via del fratello, del quale si è invaghita. Nonostante le continue intromissioni di John, i visi imbronciati di Isabella e la delusione del fratello James, Catherine si stringe sempre più alla famiglia dei Tilney e l’unico a sembrare dalla sua parte è Mr Allen. A scombussolare definitivamente la vita della giovinetta ecco arrivare la notizia del fidanzamento ufficiale di Isabella e James e la richiesta da parte del generale Tilney di trascorrere con loro qualche settimana nella loro casa a Glouchestershire, vista la loro imminente partenza. Catherine, già emozionatissima, non riesce più a contenersi quando scopre che la dimora dei Tilney non è nientepopodimeno che un’abbazia, quella di Northanger e comincia a fondere e confondere le avventure di Emily in Udolpho, con le sue. Talmente convinta di vivere un’avventura all’insegna dello spavento, Catherine non esita ad inventarsi di sana pianta misteri e loghi occulti (che non esistono) e a convincersi di svelare chissà quali segreti. È molto divertente la descrizione che fa la Austen di certi passaggi, ironizzando a gogò sull’ingenuità della ragazza che crede di essere come Emily. Sebbene vi sia uno sfondo prevalentemente gotico, Northanger Abbey è pur sempre un romanzo amoroso e quindi gradualmente  la scena cambia, per tornare agli intrighi amorosi tra i Tilney, i Morland e i Thorpe.

A distanza di anni posso dire che riconfermo il mio giudizio, sicuramente con maggiore consapevolezza della bellezza di questo romanzo. È una lettura leggera, per quanto Jane Austen sia un’esperta nel creare ansie in chi la legge (monta e smonta le vicende in modo disarmante e viene il batticuore ogni volta che qualcosa va storto; si resta in un’attesa sofferente che le cose si risolvano in favore dei nostri eroi). Sicuramente non ne resterete delusi! Ma forse, proprio per il contenuto pieno di riferimenti ad Udolpho, dovreste prima accostarvi al bellissimo libro di Ann Radcliffe! Ci sarebbero altri commenti da fare, ma sono squisitamente letterari e riguardano la difesa del romanzo (che trapela nettamente dalle parole dell’autrice) come genere letterario dignitoso e intrigante; pertanto non mi dilungherò su questo aspetto. Se a qualcuno interessasse lo approfondirò!

mercoledì 13 marzo 2013

Sono il numero Quattro (Lorien Legacy #1)

...recensione un po' in ritardo...

Inizio: 14 settembre 2012
Fine: 19 settembre 2012

Bello. Molto di già visto, ma comunque bello. Quando ho letto la trama pensavo fosse leggermente diverso, invece mi sono trovata davanti al classico quindicenne che ha poteri soprannaturali.  Credo che la Saga, perché si anticipa come una saga, sia molto più bella nel complesso che non quanto appaia dai singoli libri, in quanto mi pare di avere capito che ogni libro seguirà un diverso protagonista.

Nove adolescenti Loric sono stati salvati dalla distruzione del loro pianeta, Lorien; i Mogadorian lo hanno invaso e trasformato in una landa deserta dopo averne sfruttato tutte le risorse. I nove prescelti (o scelti a caso) sono stati mandati sul pianeta più vicino, la Terra e sono accompagnati da altrettanti Cepan (custodi ed istruttori). Ma i Mogadorian danno loro la caccia per evitare che essi diventino più forti e sviluppino le loro Eredità (poteri), cosa che permetterebbe loro di sconfiggere i Mogadorian e tornare su Lorien. La loro vita è fatta di false identità, fughe, mistero ed assoluta attenzione ad ogni cosa. Dalla loro parte hanno un incantesimo che li protegge, almeno in parte: ognuno di loro è un numero e potranno essere uccisi sono rispettando l’ordine dei numeri.  I primi tre sono già stati uccisi e Daniel lo sa perché sono comparse tre cicatrici sulla sua caviglia, ora lui è il numero Quattro. È il prossimo sulla lista. Lasciatosi alle spalle il Messico, Daniel, che ora è diventato John Smith, parte con Brandon (Hanry) alla volta della piccola cittadina di Paradise. Nuova casa, nuova identità, nuova scuola. Almeno finché non si renderà necessaria la prossima fuga. John non è nuovo a spostamenti e restio a fare amicizia, ma questa volta è proprio impossibile resistere a San Goode  e Sarah Hart che riempiono le sue giornate e lo fanno sentire un ragazzo normale. Ha perfino trovato un cane, un beagle, che ha deciso di tenere e di chiamare Bernie Kosar Ma per John tutto si complica quando cominciano ad apparire le eredità, ovvero una serie di poteri particolari che i piccoli Loric hanno ereditato dal loro mondo. Nessuno sa quali e quante eredità svilupperà e da subito, per John, sarà un problema controllarle e nasconderle tanto che alla fine sarà costretto a rivelare le sue vere origini all’amico Sam. Mentre  i Mogadorian sono di nuovo sulle sue tracce e si avvicinano pericolosamente, in Sudamerica il numero Sei si è appena ritrovata sola, il suo Cepan è stato ucciso e lei sa che per salvarsi deve salvare prima il numero Quattro. Decide quindi di partire alla ricerca di John, il prossimo sulla lista.

Per adesso, con lo pseudonimo di Pittacus Lore, i due autori di questa saga,  James Frey e Jobie Hughes hanno scritto quattro libri, due soltanto dei quali sono già stati editi in Italia.

Qualora qualcuno fosse interessato a questa saga, qui c’è qualche informazione in più:

martedì 12 marzo 2013

Le lacrime della giraffa


Inizio: 09 marzo 2013
Fine: 12 marzo 2013

Mi è piaciuto veramente tanto questo libro di McCall Smith. Era il primo per me, ma decisamente seguiranno tutti gli altri, compresi quelli che non sono stati pubblicati in italiano, ma sono in inglese. Si perché le avventure di Precious Ramotswe e la sua Lady’s Detective Agency n.1 sono molte e io le voglio leggere tutte! La signora Preciuos vive a Gaborone, la capitale del paese, e conduce una vita indipendente e di tutto rispetto; è una detective, un’investigatrice privata che gode di buona fama e di una posizione benestante. Nella sua piccola agenzia lavora anche la segretaria Makutsi, molto perspicace ed intelligente che l’aiuta nelle indagini. Mentre vive un periodo felice, dovuto al suo fidanzamento con il buon signor JLB Maketoni (rispettabile meccanico della capitale) le capita tra le mani un caso spinoso: la scomparsa di un ragazzo americano, risalente, però, a dieci anni prima. La madre, la signora Curtin non si è mai arresa alla scomparsa del figlio da una fattoria sperimentale vicino al deserto del Kalahari e, dopo aver tentato ogni strada in dieci anni, come ultimo tentativo racconta il suo dramma alla signora Ramotswe chiedendole aiuto. Nemmeno giustizia, solo aiuto a ritrovare le spoglie del figlio che secondo lei è indubbiamente morto. Ovviamente Precious accetta, pur essendo un compito difficile; dovrà trovare tracce nuove, se possibile, dopo dieci anni di tentativi della polizia andati a vuoto. Dovrà parlare nuovamente coi testimoni, ispezionare i luoghi, ma dieci anni sono tanti. Eppure non si può negare ad una madre il diritto di sapere cosa sia successo e di seppellire il proprio figlio…
Non si può dire che il giallo sia l’elemento dominante di questo racconto, potrebbe essere tranquillamente una storia romantica con un giallo sullo sfondo… oppure una storia di vita, del Botswana, con un giallo da risolvere e un matrimonio da suggellare. Le vicende personali di JBL Maketoni e Precious si intrecciano a quelle delle investigazioni, così come a quelle di altri personaggi come Florence (la domestica di JBL) o dei piccoli Motholele e Puso (orfani dell’orfanotrofio della direttrice Potokwane). Sullo sfondo è costante il richiamo alle bellissime ed interessanti tradizioni di questo meraviglioso paese africano ed anche la dignità di queste persone. Si intravedono qua e là considerazioni sui nuovi giovani, così pigri e maleducati (in Europa non è così diverso), il rapporto con il mondo spirituale, la cordialità e l’ospitalità della gente, la grande considerazione della quale gode anche il parente più lontano, la presunzione degli Europei o degli americani (più in generale degli estranei) di sapere sempre quale sia il meglio per gli africani e la grande vuota capacità di criticare sempre il loro mondo, le loro azioni e i loro costumi. Come a volere sempre necessariamente insegnare qualcosa. Insegnare che cosa poi? Precious proprio non se lo spiega. 

Il libro è scorrevole, attualissimo e pieno di spunti interessanti. Mi ha colpito molto la africanità di questo scrittore, scozzese di famiglia; non è sempre facile trovare oggettività ed obiettività da parte di chi ha alle spalle generazioni di coloni. Ho studiato tutta l’Africa subsahariana per dare un esame che non dimenticherò mai. È stato il più bell’esame che io abbia mai affrontato. La storia dell’Africa, la storia vera, fatta di sfruttamento e colonie, di apartheid ed ingiustizie è qualcosa che non si cancella dal proprio cuore e ti fa sentire responsabile dello sfruttamento indiscriminato di un continente, si, non un popolo, UN CONTINENTE INTERO! Portato lentamente alla distruzione pur avendo infinite ricchezze. A partire dalla propria gente, che ha sempre un sorriso nonostante le difficoltà.  

A chiunque potesse interessare c'è un bellissimo libro che parla della storia dell'Africa Subsahariana, dalla colonizzazione all'indipendenza, s'intitola Il Leone e il Cacciatore, di Anna Maria Gentili.

http://www.anobii.com/books/Il_leone_e_il_cacciatore/9788843010295/0104658bad69696963/

Luna


Inizio: 11 marzo 2013
Fine: 12 marzo 2013

Questo è amore. E non è la solita storiella di due ragazzi che dopo mille peripezie riesco finalmente ad amarsi. No, questo è amore allo stato puro.
Liam e Regan sono fratello e sorella o forse sarebbe meglio dire che sono due sorelle. Perché in realtà Liam si fa chiamare Lia Marie e di notte entra nella camera di Regan per essere libero di vestirsi, pettinarsi e truccarsi. Liam non è omosessuale è una ragazza a tutti gli effetti, tranne che per il suo corpo; madre natura ha sbagliato, ha fatto confusione e lui è nato maschio, con un’anima di donna. Così, da sempre, è intrappolato in vestiti e atteggiamenti che non sente suoi; tutta la sua vita è una recita di giorno ed una liberazione di notte, quando, in camera di Regan, si veste, si trucca e si guarda allo specchio rischiarato dai raggi della luna. Luna. Proprio così, Liam ha deciso di cambiare nome. Un’altra volta. Regan conosce il segreto di suo fratello; solo lei è ammessa nel sancta sanctorum del suo essere. Solo lei lo comprende e lo protegge, solo lei lo incoraggia. Lei sa perfettamente della condizione di disagio in cui vive il fratello, costantemente spinto dal padre ad essere quello che lui non è: un sedicente adolescente, pieno di ragazze, con una sana passione per lo sport e un amore sconfinato per il baseball. Niente di più lontano da Luna: una bellissima ragazza, piena di coraggio e pazienza, con una sana passione per le parrucche e la biancheria intima e un amore sconfinato per Dana International e gli specchi. Di mezzo, così, c’è posto per l’apparenza: Liam è bello, corteggiato, indipendente, un piccolo genio che lavora già in privato con la sua migliore amica di sempre Alyson. Solo che Alyson è innamorata di Liam e da sempre crede che prima o poi si sposeranno. Ovviamente solo nei suoi sogni, perché Liam invece ha ben chiaro che cosa vuole essere. E non è di sicuro l’uomo di casa.

Ma questa vita fatta di segreti non è facile da portare avanti, soprattutto per Regan, che, pur amando oltre ogni cosa Luna, non riesce a fare conciliare il suo bisogno di normalità con la sua famiglia. E con il suo ingombrante fratello. Con una madre praticamente assente, dipendente da psicofarmaci e calmanti ed un padre maschilista nonché assolutamente incapace di vedere suo figlio per quello che è, Regan è l’unico rifugio di Luna. E lei non esita mai a mettere da parte i propri impegni e la propria vita per Luna. Anche quando nella sua vita entra Chris, un ragazzo conosciuto al corso di Chimica. Anche quando deciderà di accompagnare di nascosto sua sorella Luna al centro commerciale, vestita da donna, come tanto desidera. Eppure, piano piano, Liam non riesce più e non vuole più nascondere Luna, non vuole relegarla ad una vita di notte, reale solo al sicuro nella stanza di Regan; vuole mostrarsi al mondo ed alle persone che ama per ciò che è realmente, senza doversi più nascondere. Il primo passo lo fa con Alyson, la sua amica di sempre, il suo grande banco di prova, la quale rimane stupita, delusa forse, incapace di accettare la realtà, incapace di rinunciare al ragazzo che da sempre ama. E prende le distanze sentendosi tradita da Regan e da Liam.

«Lui è sempre la persona che conosci. Solo che è più felice come ragazza» dissi [Regan] a bassa voce.
Lei fece per aprire la bocca, poi la richiuse. Scosse la testa guardando il soffitto. «Sono io che non sono più la stessa. E io cosa dovrei essere allora? Una lesbica? Non penso proprio» disse e si allontanò in fretta da me.
«Se l’amassi davvero, non farebbe nessuna differenza» le urlai dietro.

Trovo semplicemente stupenda quest’ultima frase. Perché racchiude una verità grandissima quanto difficile da accettare. Se si ama si può tutto. L’amore sarà diverso, ma sarà sempre amore.
Sono felicissima di avere letto questo piccolo gioiello. Io non ho mai avuto, né mai avrò pregiudizi verso una qualsiasi forma d’amore. L’amore è universale e policromatico. Non ha una sola forma di espressione giusta, ne ha infinite. E a chi mi dice che questo amore è contro natura rispondo che esistono due sole cose contro natura: la prima è l’ignoranza. Siamo animali, noi uomini e come tutti gli animali dobbiamo imparare tante cose nella vita per sopravvivere ed evolvere la nostra specie. Chi resta relegato nell’ignoranza non segue il corso della natura. Essere ignoranti non significa non essere colti, significa non essere in grado di capire la realtà ed ostinarsi a contrastarla. La seconda cosa contro natura è la cattiveria gratuita, la malvagità fine a se stessa. Nessun animale, tranne l’uomo, uccide per divertimento. Uccide se ha fame, attacca se si sente minacciato, ma non fa del male per la pura gioia di farlo. Chi fa soffrire il prossimo senza motivo, chi lo oltraggia, chi lo deride, chi fa del male agli altri senza essere spinto da fame, paura, istinto di sopravvivenza (come gli animali) è contro natura. Pertanto, senza troppi giri di parole, bisognerebbe avere più rispetto per l’amore e per le persone. Più comprensione per le difficoltà degli altri. E poi basta etichettare la gente come omosessuale, lesbica, transgender, etero… siamo persone, tutte persone uguali!! E l’amore è amore. Non si classifica!

lunedì 11 marzo 2013

Il peso della farfalla


Inizio: 08 marzo 2013
Fine: 08 marzo 2013

È il mio secondo Erri De Luca e sono rimasta nuovamente stregata. Quest’ uomo ha una capacità di trasmettere immagini ed emozioni incredibile. Il peso della farfalla mi ha lasciato un grande senso di pace. Forse perché racconta un periodo della vita, quello finale, con una serenità ed una naturalezza disarmanti; forse perché è giusto che ognuno di noi sappia che la natura deve fare il suo corso e non c’è nulla di triste o brutto in questo. Ho versato lacrime, è vero, lo ammetto, ma non erano amare o tristi erano semplicemente liberatorie. Mi ha insegnato che si può arrivare a capire certe cose anche con l’ultimo respiro, che non è mai tardi per imparare e che non si deve rimpiangere quello che è stato, ma solo prenderne atto. Accettare le cose per quelle che sono. Non è facile farlo, sicuramente per una come me lo è ancora meno, però questo libro lo insegna e lo racconta attraverso le vite incrociate di un bellissimo camoscio ed il suo cacciatore. Non amo la caccia come sport e non la condivido. Ma questo cacciatore era fin troppo dolce e consapevole per non apprezzarlo; non l’ho considerato un cacciatore per tutto il libro, ma semplicemente un uomo con la sua vita, la sua quotidianità e il suo obiettivo. Un uomo che ha avuto rispetto per la vita e per la morte e che, laddove ha sbagliato, ha imparato dai suoi errori. Dall’altra parte della barricata il camoscio, anziano, che ormai sa che la sua vita da capobranco è finita, che si sacrifica per gli altri per non sprecare nemmeno la sua morte. Una morte che poi alla fine li unisce, dopo averli tenuti distanti per tutta una vita.

Non posso trovare altre parole per descrivere questo racconto che sembra una fiaba, solo che le fiabe di solito hanno il lieto fine. Forse questa il lieto fine non ce l’ha, ma una morale bellissima e tante cose da insegnare.

Iacobus


Inizio: 04 marzo 2013
Fine: 11 marzo 2013

Proprio non so resistere al richiamo del medioevo. Se poi, in qualche modo si parla di templari, crociate e quant’altro, allora mi è proprio impossibile. Ho letto quasi tutto di questa autrice spagnola che si cimenta in romanzi storici. Matilde Asensi è quasi sempre una garanzia ed anche questa volta sono rimasta molto soddisfatta. Intrigante ed appassionante, con un ritmo piacevolmente incalzante, la vicenda di Galceran de Born mi è piaciuta molto.

Avignone 1315. Galceran de Born, medico e cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri dell’isola di Rodi, si trova presso un convento mauriziano a Ponç de Riba, in Spagna. Da ormai quasi due anni, si è dedicato a leggere i libri più antichi e preziosi sulla scienza medica e a riprendere le tracce di un bambino, un puer oblatus di nome Garcia, che egli ha soprannominato Jonas. Quando viene convocato in Francia nientepopodimeno da Papa Giovanni XXII, egli pretende ed ottiene che il ragazzo lo segua per poter meglio apprendere la professione del medico ed approfittare del viaggio per vedere luoghi che difficilmente avrebbe modo di vedere. Il Papa, come la storia ci racconta, si è rifugiato con tutto il papato ad Avignone da quando spiacevoli inconvenienti hanno fatto si che il Vaticano Romano non fosse più un posto sicuro. Il Papa ha un grosso problema da risolvere e il Perquisitore è l’unico che possa aiutarlo. Possa poi è un eufemismo, ovviamente la richiesta è imperativa. Dopo che i Templari vennero condannati e molti di loro vennero arsi sui roghi Jacques de Molay, ultimo gran maestro, aveva lanciato dalla sua pira una maledizione, chiamando di lì a un anno davanti al tribunale di Dio le tre persone responsabili della sua morte: Papa Clemente V, il guardasigilli Guglielmo de Nogaret e re Filippo IV. A distanza di un anno i tre erano morti in circostanze che potevano definirsi anomale o quantomeno non prive di dubbio. Spetta a Galceran scoprire se queste tre morti siano o meno da attribuire ai templari rimasti in vita e dispersisi per l’Europa e il Medio oriente decisi a vendicare de Molay. Inoltre a Galceran viene ordinato  di individuare e recuperare l’oro e le ricchezze dei Templari, che sono state ritrovate solo in piccola parte. Egli parte così con il piccolo Jonas alla volta di un viaggio che lo porterà fino a Parigi. Ad ogni tappa, celando la propria identità e usando abilmente il proprio ingegno, comincerà a ricostruire gli ultimi giorni di Clemente V, Guglielmo de Nogaret e  Filippo IV scoprendo che le loro morti, tutt’altro che accidentali, sono da considerarsi tre omicidi ben premeditati. Grazie alla collaborazione della bella e misteriosa Sara, una maga ebrea di Parigi, egli riuscirà a riconoscere gli esecutori materiali dei delitti, due vecchie conoscenze che risalgono a prima della sua investitura di Cavaliere. Evgard e Manrique de Mendoza sono due templari ed egli li conosce molto bene in quanto Manrique specialmente, è il fratello di Isabel suo unico grande amore e madre di Jonas, al quale ella ha dovuto rinunciare chiudendosi in un convento a Burgos a soli quindici anni. Da allora non li ha più rivisti. Evgard è ormai morto ma Manrique si nasconde in Spagna o forse in Portogallo dove Don Dinis ha fatto rifugiare i templari rimasti e chiede insistentemente a Papa Giovanni XXII di istituire un nuovo ordine sotto il quale essi siano riscattati e protetti. Una volta risolto il primo problema però, Galceran viene in possesso di documenti molto importanti per il suo compito: ritrovare l’oro dei Templari. Per far ciò, travestito da nobiluomo in penitenza, dovrà compiere il Cammino di Santiago in compagnia di Jonas, senza destare sospetti e riportare costantemente le sue scoperte al Conte Le Mans, che lo segue a distanza coi suoi uomini. Il nuovo Papa ha fretta di mettere le mani sull’oro. Tuttavia il compito, già non facile, verrà messo a dura prova dalla ricomparsa di Sara sul Cammino, che porterà Galceran a cambiare rotta per inseguire la bella maga, amante di Manrique, diretta a Burgos per raggiungere l’amato templare. Ma seguire e trovare Sara significherà incrociare la strada dei Templari, che oramai sanno che il Perquisitore è sulle loro tracce. E finire direttamente nella bocca del lupo. Galceran dovrà risolvere enigmi e fuggire a chi lo vuole morto; in tutto questo dovrà proteggere suo figlio che solo da poco ha appreso la sua vera origine…

In questo romanzo avvincente e molto accurato nei dettagli storici, la Asensi trasporta il lettore in mezzo ai pellegrini, ai concheiros che viaggiano verso la tomba di Santiago facendolo scorrere sulle pagine velocemente e con una curiosità che aumenta di pagina in pagina.

La camera d'ambra


Prima di recensire Iacobus ho una recensione in sospeso con Matilde, La camere d’ambra.

Inizio 19 settembre 2012
Fine: 22 settembre 2012

Considerato che questo è il primo romanzo di Matilde Asensi, bisogna ammettere che nel tempo è migliorata molto nel costruire trame ed intrecci. Non che questo libro non sia bello, anzi, ma rispetto ad altri è molto semplice. Ana è un’antiquaria spagnola che vive con Ezequiela, la donna che l’ha cresciuta. Ana è il Pedone, quinto elemento della banda degli Scacchi, da quando suo padre è venuto a mancare mettendola al corrente dei suoi affari. La banda degli Scacchi è una banda di ladri di beni di inestimabile valore: quadri, gioielli, manufatti, opere d’arte, etc. Organizzatissimi, distanti fisicamente e geograficamente, Re, Regina, Torre, Alfiere, Cavallo e Pedone quasi non si conoscono e si contattano grazie ad espedienti altamente sofisticati creati dall’Alfiere, un vero genio dell’informatica. Ognuno di loro ha un compito ben preciso e quello di Ana, di solito, è di commettere il furto. Re è francese, è il più anziano ed è da sempre il capo del gruppo; da ordini e decide cosa valga la pena di rubare. Regina è una donna italiana, dedita all’arte, esperta nella riproduzione di falsi esattamente identici agli originali. Torre è inglese, di Londra ed è il portafoglio del gruppo, si deve occupare di tutti gli elementi logistici che richiedano dispendio economico. Cavallo, portoghese, è un orologiaio esperto di meccanismi di qualsiasi tipo.  Alfiere è il genio informatico che mette tutti in comunicazione, disinserisce qualsiasi antifurto e fa da supporto remoto ad Ana in ogni operazione. Pedone, infine, è la nostra Ana, ultimo elemento per importanza ma estremamente prezioso per il gruppo in quanto esecutrice materiale dei furti. Nessuno conosce questa sua doppia vita tranne una zia, ritiratasi in un convento, Juana, che le ha riservato una stanza con doppia mandata per nascondere la refurtiva a cambio di cospicui e continuativi versamenti economici… La nuova avventura del gruppo degli Scacchi prevede che Cavallo e Pedone trovino quella che viene definita l’ottava meraviglia del mondo: la camera d’ambra. Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, l'esercito tedesco saccheggiò gli antichi palazzi degli zar a San Pietroburgo e trafugò in Germania molte opere d'arte di inestimabile valore, che scomparvero misteriosamente negli ultimi giorni della guerra. Tra queste opere fu anche smontata ed asportata la camera d'ambra, costituita interamente da lastre di ambra del Baltico, che sparì insieme agli altri tesori. Ma non appena Ana si reca da Cavallo in Portogallo per dare inizio ai preparativi, balza subito all'occhio un problema: Amalia. Cavallo ha una figlia tredicenne che non ha la vaga idea di cosa faccia il padre come secondo lavoro (o almeno così pensa lui). Come partire alla volta dell’Europa senza la figlia? E come spiegare la presenza di Ana, che oltretutto lascia trasparire un certo interesse per Josè? Piuttosto che stare per qualche tempo dalla madre preferisce andare in Spagna a casa di Ana e restare con Ezequiela. Una volta ultimati i preparativi il Cavallo ed il Pedone partono alla volta di Berlino, ma bene presto scopriranno che non sono gli unici ad essere sulle tracce della favolosa camera d’ambra. Quello che non immaginano è che tra le loro fila si nasconde il traditore che cercherà in ogni modo di eliminarli dopo averli usati. Sarà un aiuto decisamente inaspettato a salvarli…

Sicuramente è un buon libro, ma rispetto ad altri quali L’ultimo Catone o L’origine perduta, la trama non è poi così avvincente. Si fa leggere velocemente con le sue 200 pagine e se volete una lettura leggera e poco impegnativa è un’ottima compagnia sotto l’ombrellone oppure sotto le coperte quando fuori piove.

giovedì 7 marzo 2013

Il libro dell'Inquietudine

Inizio: 02 marzo 2013
Fine 07 marzo 2013

Fernando Pessoa intitola questo libro Il libro dell’inquietudine, ma forse sarebbe stato meglio chiamarlo Il libro del nulla. Il protagonista, Bernardo Soares, lo dice chiaramente a pagina 48: “In questi miei appunti sconnessi, e che non ambiscono ad avere un nesso, racconto con indifferenza la mia autobiografia priva di avvenimenti,  la mia storia priva di vita. Sono le mie confessioni, e se in esse non dico niente è perché non ho niente da dire”. Ancora più preoccupante è che Bernardo Soares non esiste, è tutto frutto della mente di Pessoa. Appunti sconnessi in primis. È lui stesso a presentarlo, come se fosse una persona vera, e definendolo poi così: una semplice mutilazione della mia personalità: sono io senza il raziocinio e l'affettività. Non è un romanzo, non è un’autobiografia. È un diario rivolto a se stesso tanto quanto ad un ipotetico lettore. Fa molto Beckett in questi monologhi che vogliono essere dialoghi con qualcuno. In attesa che giunga Godot. Disorientata dalle prime pagine mi sono fermata e ho letto l’introduzione di Tabucchi nella speranza di trovare la Stella Polare. Ma navigare in questo mare è difficilissimo… tuttavia devo riconoscere che l’introduzione mette in guardia molto chiaramente il lettore riguardo ciò che lo attende, ciò che troverà nelle 200 pagine successive. Spiega molto bene la prospettiva dalla quale Bernardo vede la sua esistenza, rammenta al lettore quante analogie ci siano con altri scrittori che hanno trattato gli stessi temi dalle stesse prospettive. Ma in tutte queste spiegazioni, che aiutano il lettore ad accettare quello che leggerà, non c’è spazio per la vera e propria comprensione del testo. E il lettore si domanda: perché? Perché ha scritto queste cose? Cosa lo muove a scrivere così? Tabucchi non ci illumina. Ma forse non è nemmeno compito suo. L’intermediario ti da gli strumenti, il risultato dipende da te. Così ho cercato di capire qualcosa di più della vita di questo poeta e scrittore portoghese che non conoscevo; ho cercato di capire cosa possa muovere una persona ad annotare pensieri come questi, completamente svicolati da fatti. Nonostante i miei sforzi l’unica cosa che sono riuscita a estrapolare è il fatto che forse Fernando avrebbe voluto essere uno nessuno e centomila, come dimostrano i suoi innumerevoli eteronimi. Forse aveva quest’uomo un animo talmente sensibile e volatile da sentire la necessità costante di cambiare nome, attitudine, pensiero, togliere un pregio, aggiungere un difetto, cambiare gli ingredienti e vedere quale nuova gustosa ricetta di sé era in grado di ottenere. Ho continuato la lettura, con qualche elemento in più e ho provato a non vedere dietro quelle righe una persona che in realtà non esiste. A vederlo come un esperimento. Forse a Fernando farebbe piacere questo mio modo di vederlo. Così mi sono spogliata di tutto e ho continuato. Non posso definirla una lettura difficile né nella lingua né nei contenuti, non è ostile, né tanto meno inquietante come ispira il titolo. No. È una lettura rassegnata e depressa. Attenzione non deprimente! Solo depressa. Ho ritrovato atteggiamenti molto simili a quelli che avevo ahimè sperimentato nella depressione, in questa malattia che rende incapaci di vivere e ti rilega in un limbo che sembra non finire mai; ed ecco che ti trasformi in spettatore della tua vita, non te ne accorgi, ma guardi la vita, la tua vita, scorrerti davanti e non sai nemmeno che è tua. Forse, ti sembra di non averla mai avuta. Sono discorsi difficili da fare ed impossibili da recensire. A pochi è dato l’onore di capire. E grazie a Dio! La depressione non è proprio quello che sia augura agli altri!!! Voi, a questo punto, però, vorrete anche sapere di cosa parlano questi famosi appunti sconnessi… mettiamola così: parlano dell’anima di Bernardo vista dal di fuori, come se l’anima di Bernardo, la sua coscienza e Bernardo fossero entità diverse. Tabucchi dice: come se l’anima guardasse dalla finestra. Vero. Più o meno così. Sono sensazioni non fatti, impressioni, non eventi. Nulla è concreto in questo libro. Nemmeno la città, perennemente avvolta dalla nebbia e senza contorni. Offuscata. Come l’anima di Bernardo. Bernardo che non dorme ma che parla di sogni e della dimensione onirica costantemente e quel poco di luce che appare a contrastare la notte è data dal cielo, non dal sole. Bernardo si perde a guardare le nuvole: sono sempre state lì? E forse diventa la nuvola stessa…
E poi lo dice: “ho cercato in me varie personalità. Creo costantemente personalità […]. Per creare mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriorizzato. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi”. Bingo. Ci avevo visto giusto e lungo. Procedendo nella lettura i toni pessimistici aumentano ed in alcuni passaggi sembra di sentire Seneca (che non era pessimista, solo realista, ma su certi concetti non era proprio il massimo della solarità). Ogni tanto evinciamo dal racconto di Bernardo che anche lui nasconde parvenze umane: fa viaggi, ha amici da visitare, partecipa a cene e pranzi.. insomma volendo stare a spaccare il capello in quattro, anche lui ha una vita sociale. Ma questo non basta a farci un’idea della sua vita; l’unica cosa di cui possiamo farci un’idea è il suo male di vivere, della sua necessità del sonno visto come la cessazione della fatica e della sofferenza. Bernardo non vuole vivere, non ne ha voglia o forse ne ha paura, esattamente come non ha voglia di comprare quelle banane dal grande giallo che vede ordinatamente nella loro cassetta. In un libro pieno di ossimori Soares è la litote per eccellenza, ci dice cosa è dicendoci tutto quello che non è. Capiamo cosa fa da tutto quello che non fa.

Tirando le somme non è un libro facile e non è scorrevole. Ci si deve un po’ forzare a leggere appunto per appunto e ci si deve sforzare di estrapolarne un significato. Tuttavia non posso definirlo né brutto né poco interessante poiché contiene moltissimi spunti di riflessione. E qui cito me stessa: “più che un romanzo è un quaderno per gli esercizi. Matita alla mano mi siedo accanto a Bernardo e vedo se riesco a fare i compiti”.

mercoledì 6 marzo 2013

La morte della Pizia


Inizio: 05 marzo 2013
Fine: 06 marzo 2013

Letto velocissimamente. Impossibile resistere a questo piccolo capolavoro di Durrenmatt. Ne avevo sentito parlare nella trasmissione Per un pugno di libri (una delle poche per cui valga la pena di accendere la televisione); era la lettura del giorno, sulla quale si sfidavano le due classi e mi aveva conquistato. Dalla wishlist non è nemmeno passato, l’ho immediatamente comprato. Ieri sera ho posato Pessoa e preso in mano questo piccolo libricino rosso. E ho cominciato a ridere. A ridere di gusto. Si perché mai nella vita mi sarei immaginata la Pizia così; chi come me ha fatto il classico si è sorbito autori e traduzioni dei miti in tutte le salse e oramai ha ben scolpiti nella mente tutti i personaggi possibili ed immaginabili della letteratura e della mitologia greca e latina. Ma una Pizia “stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli”, con buona pace di Apollo, io non l’avevo mai immaginata. E per un attimo mi sono immaginata cosa sarebbe accaduto se Durrenmatt si fosse chiamato Sofocle e io mi fossi trovata a tradurre un testo così… che spasso!!
La Pizia è vecchia e stanca di fare questo benedetto lavoro (mal retribuito) per il sacerdote. Ma quali oracoli! Pannychis XI le sue divinazioni se le inventa di sana pianta! E più le domande sono stupide e banali più lei inventa soluzioni impossibili e finali da film di fantascienza. Come la cavolata detta a quell’Edipo… “ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre”, seeee ,ma quando mai. Pannychis se la ride sotto i baffi a vedere le reazioni della gente ai suoi impossibili responsi, tuttavia tutti i postulanti se ne anno via mesti e seri prendendo le sue parole per oro colato. Anche quando non sono sue … perché chiariamoci, ogni tanto le tocca pure pronunciare gli oracoli del veggente cieco Tiresia che, mannaggia a lui, scrive in giambi (figurati se lui rinuncia a scrivere in versi). Un po’ di conforto le viene dai vapori che usa per vaticinare. Belli caldi sono un toccasana per i suoi reumatismi e per scacciare quella corrente gelida che soffia per il tempio. Tempio… insomma il Santuario di Delfi oramai era una catapecchia che invano il sacerdote Merops cercava di ristrutturare facendo sorgere cantieri a destra e a sinistra. Il tempo passa e la Pizia continua a propinare colossali balle a tutti coloro che le chiedono un responso. Ma quando Edipo ritorna, cieco e sorretto dalla figlia (sorella) Antigone, quasi la Pizia si sente male. Possibile che il suo oracolo si sia avverato? Sfilano così davanti a lei i personaggi della famosa tragedia di Sofocle, che le narrano di come hanno in tutti i modi assecondato il volere di Apollo, espresso dalle labbra di Pannychis. Con qualche piccola variante, rispetto al mito originale. Edipo allontanatosi dai suoi genitori Polibo e Merope (re e regina di Corinto) si era spinto verso Tebe e in un duello aveva ucciso Laio, re di Tebe (suo padre) e sposato Giocasta (sua madre). Proprio loro che lo avevano abbandonato neonato non appena avevano saputo della terribile profezia che minacciava Laio: sarebbe stato ucciso da suo figlio, sangue del suo sangue. Davanti alla realtà, Giocasta si era impiccata e Edipo si era accecato (non prima di avere generato quattro figli). La Pizia vede fuoriuscire i personaggi dalle nuvole di vapore che salgono da sotto il tripode, come fantasmi le si parano davanti e le raccontano la loro versione della storia, ribadendo il volere di Apollo. Ma quale volere di Apollo! Pannychis si era inventata tutto di sana pianta! Eppure questa gente le crede e non la molla un attimo, non le danno tregua. Nemmeno Tiresia che le appare per ricordarle che loro due presto moriranno insieme. “Ti odio” sibilò la Pizia. (Sibilò, stupendo, considerando che il protettore dell’oracolo, inizialmente affidato a Gea, era una pitonessa gigante di nome Pitone). Anche Tiresia è un imbroglione, esattamente come lei; quando aveva vaticinato a Laio che sarebbe morto per mano del figlio tutti sapevano che Laio non poteva avere figli e mai ne avrebbe avuti. Eppure nessuno rifletteva su questo! Se gli Dei vogliono questo, allora accadrà. E infatti, manco a farlo apposta, tutto si era avverato. Come Tiresia dice a Pannychis “con il tuo oracolo hai inventato la realtà”. Abile burattinaio Tiresia serve i suoi versi giambici per cercare di modellare la realtà, ma spesso, quelle che inizialmente si dimostrano buone intenzioni, alla fine si rivelano disastri. Un piccolo dato, omesso, può confondere il vecchio e fargli vaticinare qualcosa in un modo anziché in un altro. E il risultato è lontano mille miglia da quello che si sarebbe volto ottenere; dovunque si cambi qualcosa, il cambiamento riguarda il tutto.
Nel discorso finale di Tiresia, però c’è molto di più di una storiella divertente, c’è un’accusa abbastanza esplicita a chi aspetta una risposta dagli dei per agire. Chiunque potrebbe trovare una risposta, una soluzione, ma si preferisce chiedere un’illuminazione. Ci si rifugia nel misticismo per non utilizzare il cervello. Come quando parla dei tebani, perennemente flagellati dalla peste “Invece di  costruire una fognatura come si deve, tanto per cambiare ti chiedono un oracolo”. Pigrizia assoluta dell’animo. Nonostante sia il loro lavoro, Tiresia condanna quest’eccessivo rifugio nel volere degli dei, nel chiedere ciò che accadrà, pagando il prezzo del sapere con l’infelicità. Tanto varrebbe allora sapere di meno ed agire di più e se poi gli dei avrebbero voluto un’altra cosa, poco importa. Le ultime pagine, con il racconto della Sfinge sono davvero molto belle e racchiudono un’atmosfera incredibilmente magica. Non è assolutamente un libro scontato e non fatevi ingannare dalle sue pochissime pagine; è seduttivo e incantatore come un serpente sinuoso. Stupendo!

martedì 5 marzo 2013

Tutti i figli di Dio danzano


Inizio: 05 marzo 2013
Fine: 05 marzo 2013

Ok, lo ammetto è stato uno shock. Io, abituata alla leggerezza pacata di Banana Yoshimoto, mi sono trovata sottosopra con Murakami. Haruki mi ha letteralmente preso a schiaffi. E io come una cretina sono stata lì a farmeli dare. La leggerezza della brezza marina contro l’impetuosità del vento di tramontana. Mi devo riprendere. Non che il Giappone debba essere necessariamente come Banana lo racconta, ma qualcosina della nippo-cultura l’ho studiata e non trovo verosimili i dialoghi tra perfetti sconosciuti del primo racconto, sfrontati ed arroganti. E la volgarità? Che cavolo di giapponesi sono questi??? Ma senza fermarmi all’apparenza cerco di capire, un po’ più in profondità, chi sono questi personaggi con i quali ho a che fare. È chiaro che Murakami non scrive un romanzo, ma narra racconti. Quindi ci dovrà essere un filo rosso che li lega. In particolare questo libro, composto da sei racconti, ha come filo conduttore il terremoto di Kobe del 1955. Tutti i personaggi sono legati in qualche modo a tale tragedia. Nel primo racconto incontriamo Komura, un uomo abbandonato dalla moglie che lo ha lasciato cinque giorni dopo il terremoto. Loro vivono lontano dall'epicentro e non hanno amici o parenti in quella zona; eppure la moglie resta per cinque giorni immobile ed attonita davanti al teleschermo, prendendo poi la decisione di andarsene e divorziare. Non è difficile per il lettore immaginare che abbia avuto amante a Kobe e che lo stesso sia morto nel terremoto. Nel secondo racconto, un uomo di mezz’età, Miyake, rivela di avere una famiglia a Kobe anche se da anni vive in una piccola cittadina sul mare. Anche qui il lettore può solo immaginare cosa sia accaduto alla moglie ed ai figli di Miyake e si rende comprensiva la decisione (apparente) di suicidarsi. Nel terso, Yoshiya, venticinque anni, rimane solo a casa per qualche giorno poiché sua madre è in missione umanitaria a Kobe con il suo gruppo spirituale (sembra quasi cristianesimo ma non saprei…) per prestare aiuto. In uno di questi giorni il ragazzo incontra per caso per strada un uomo che, per via di un difetto ben visibile, potrebbe essere suo padre e si mette a seguirlo. Alla fine del viaggio Yoshiya troverà solo se stesso. Nel quarto racconto incontriamo Satsuki, una bella donna, una dottoressa affermata in viaggio a Bangkok per un convegno medico. Anche lei è legata a Kobe, il suo ex marito vive lì. O forse viveva, perché lei spera con tutto il cuore che sia rimasto schiacciato sotto le macerie. E poi, nel quinto, arriva un Ranocchio gigante che vuole salvare Tokyo da un imminente terremoto, perché il Gran Lombrico è stato svegliato da quello di Kobe. Per farlo chiede aiuto a Katagiri, che lavora per la sezione recupero crediti di una banca, presentandosi a casa sua e chiedendo il suo aiuto. Ancora desso mi chiedo chi fosse Katagiri… se il simpatico coprotagonista di una (disgustosa) storiella per bambini oppure un tossicodipendente in fase di astinenza (e non vi spiego il perché). Per ultimi incontriamo Sayoko, Kan e Junpei. Sayoko e Kan sono stati sposati ed hanno avuto la piccola Sara, ma il loro matrimonio è finito nonostante i loro rapporti continuino. Junpei è un secondo padre per Sara, alla quale ama raccontare storie inventate sul momento. È laureato in Letteratura e da quando i suoi genitori lo hanno scoperto, non si parlano. Nemmeno il terremoto di Kobe (dove vivono i genitori di Junpei) li muoverà da questo silenzio astioso in cui si sono rinchiusi. Ma in questo ultimo racconto il terremoto è davvero solo una macchiolina sullo sfondo. La storia è tutt'altra.

Lo confesso, me lo sono divorato in meno di 4 ore, non che sia un mattone ma proprio proprio non ho resistito. Non mi sono ancora fatta un’idea sul significato di questo libro, ma qualche riflessione ha già preso piede. Effettivamente, terremoto a parte, un filo rosso questi racconti ce l’hanno: è il bisogno di sentirsi amati, la costane ricerca della propria gratificazione sentimentale nell'altro  che può essere una moglie, un nuovo compagno, un padre, una madre, etc… Questo bisogno impellente nasce quasi sempre dall'abbandono o dall'insoddisfazione  dalla prova evidente che chi ci è accanto non ci apprezza o non ci ama come vorremmo. Murakami si spinge oltre e descrive le conseguenze di queste ricerche, che possono fruttare o meno. C’è chi non ha paura di trovare la gratificazione in una persona diversa, dopo essere stati abbandonati, chi invece non riesce ad affrontare una nuova situazione e chi alla fine decide che forse non gli importa più di tanto. C’è chi combatte l’abbandono con l’odio e chi combatte l’ingratitudine con la bontà. Ognuno sembra trovare la propria dimensione in questo libro, a parte il lettore, che non sa più da che parte è girato. Un po’ come me che ho cominciato questo libricino sbraitando contro un autore che mi prendeva letteralmente a schiaffi e adesso lo chiudo con il sorriso stampato in faccia. Che dire, non è Banana, è diverso. Non è così denso, è più velato, ma altrettanto profondo. È meno giapponese, ma più diretto. È più discorsivo, meno introspettivo, ma lascia al lettore la possibilità di immaginarsi un perché, un come andrà a finire. Ho già capito che ne comprerò altri!!

Me parlare bello un giorno


Inizio: 27 febbraio 2013 
Fine: 05 marzo 2013

Mah, che dire. Questo libro è un po’ strano, esilarante a tratti, un po’ più noioso in altri. Non ricordo cosa mi avesse colpito della trama tempo fa, né dove l’avessi letta. Probabilmente la colpa è di Anobii, tanto per cambiare. David Sedaris è nato in America da genitori greci, ha una famiglia numerosa e nella sua vita ne ha combinate un po’ di tutti i colori. In questo libro si narrano solo alcuni episodi della sua vita, alcuni tratti dalla sua infanzia, segnata dalla consapevolezza di essere negato per l’arte in generale ed essere omosessuale,  aldilà di ogni ragionevole dubbio; altri invece raccontano delle sue esperienze nella grande mela, così diversa dalla cittadina della North Carolina nella quale è cresciuto. Racconta in modo esilarante la sua esperienza parigina con il compagno Hugh, i suoi costanti e pigri tentativi di imparare il francese insieme ad un eterogeneo gruppetto di alunni provenienti da svariate parti del mondo. Si racconta a noi in modo diretto ed esplicito, senza filtri, anche quando deve parlarci della sua esperienza con la droga (risalente alla sua giovinezza), destabilizzando un po’ il lettore proprio per questa sua eccessiva franchezza. Nel complesso è un libro che si fa leggere senza troppe pretese e senza troppi problemi. Mi resta sempre il dubbio, però, leggendo cose come questa, che davvero oggi giorno chiunque abbia la pretesa di avere una vita interessante e abbia all'improvviso l’impellente necessità di metterla alla mercé di tutti…

Non capisco… onestamente non lo ricomprerei.