martedì 23 ottobre 2012

La biblioteca perduta dell'alchimista


Inizio: 22 ottobre 2012
Fine: 23 ottobre 2012

Nuovo capitolo delle avventure medievali di Ignazio de Toledo, il personaggio inventato da Marcello Simoni.
Anno del Signore 1227. Nella diocesi di Narbonne una non meglio precisata monaca si trova a fronteggiare quelli che vengono chiamati ossessi, che portano i segni di Airagne. Nello stesso momento Ignazio, accompagnato dal fedelissimo Willalme ed al figlio ritrovato Uberto, sta viaggiando alla volta del Regno di Castiglia per far visita il Re Ferdinando III. Egli stesso lo ha fatto chiamare per motivi ancora oscuri. Giunto a corte Ignazio viene ricevuto quasi subito dal Re, un cavaliere in armatura, Filippo di Lusitano e dal frate domenicano Pedro Gonzalez de Palencia. Ferdinando li mette al corrente del fatto che la zia, Bianca di Castiglia, Regina di Francia e vedova di Luigi VIII è scomparsa nel nulla. Si sospetta un rapimento (probabilmente è prigioniera del Conte di Nigredo) ma senza ancora aver chiaro quale possa essere la merce di scambio. Bianca, fervente cattolica in perenne crociata contro l’eresia catara della Linguadoca, non era ben vista dalla nobiltà francese, ciononostante godeva dell’appoggio della Santa Sede, nella figura del Cardinale Romano Frangipane. Queste notizie però giungono da lontano e per di più dalla bocca di un pazzo, un ossesso, che nemmeno ricorda di averle dette e perché. Il compito che lo aspetta nasconde qualcosa di molto insidioso; Ignazio vorrebbe tirarsi indietro ma facendolo  scopre con gioia che il suo nome è stato suggerito dal vecchio magister Galib, al quale il frate filosofo è affezionatissimo. Il buon vecchio appare nella sala proprio nel momento in cui Ignazio sta cercando di scrollarsi dalle spalle l’incarico e, a questo punto, vedendo la stima che il buon vecchio magister ripone in lui, accetta. Galib ha però un altro piccolo incarico, più segreto e misterioso da affidare ad Uberto, che precederà sulla strada il padre di poche ore, partendo di notte all’insaputa di tutti: correre da un certo Reymond de Pereille e farsi dare quello che viene definito il Turba Philosophorum. Un raro manoscritto di valore immenso. Ovviamente sia Ignazio che Willalme sono a conoscenza dell’incarico di Uberto anche se non nei particolari. Nella notte però il buon magister viene ucciso, avvelenato con l’erba diaboli. Chi è la persona che Galib a incontrato rientrando nelle stalle? Perché aveva il ciondolo simbolo di Airagne appeso al collo? Che cos’è Airagne? Il giorno seguente Ignazio, il buon Willelme e la scorta capeggiata da Filippo di Lusitano (vecchia conoscenza del mercante) partono alla volta della Linguadoca, diretti verso Teluan.
Si cambia scena, ci ritroviamo nella cella nella quale è reclusa Bianca di Castiglia, assieme al cardinale Frangipane. Tra i due sembra esserci un rapporto di odio e amore molto instabile; insieme a loro v’è rinchiuso un terzo elemento, il capo delle milizie, Humbert de Beaujeu, il quale sta cercando disperatamente un modo per evadere dal torrione nel quale sono rinchiusi da giorni, senza che il Conte si sia mai degnato di venir a far visita loro o far sapere cosa volesse in cambio della loro libertà. Senza contare che nessuno sa chi sia questo Conte di Nigredo. Humbert si imbatte in quella che potrebbe essere una fucina o molto più nelle segrete…
Uberto vola la rocca di Montsegur, verso Reymond, trovandosi all’avventuro solo per la prima volta, volendo dimostrare al padre tutto il suo valore e, perché no, farlo preoccupare un po’. Non sospetta minimamente che qualcuno ha avvelenato colui che gli ha affidato questo compito. Ma è decisamente troppo tardi quando capisce che Raymond de Pereille non è disposto ad aiutarlo, deve difendere una rocca catara, l’ultimo baluardo dei bon chretiens. Gli Archontes si sono avvicinati anche troppo. Uberto sta ancora domandandosi cosa siano gli Archontes (le milizie di Nigredo che combattono sotto il vesillo di un sole nero in campo giallo) e cosa sia Airagne, quando viene sbattuto in cella. Per fortuna una bella signora accorrerà in suo soccorso ed egli riuscirà anche a portare con se il Turba Philosophorum…
Da questo momento in poi nel libro la storia di divide in diversi rami: Uberto salva una ragazza che è passata sotto la tortura di padre Blasco da Tortosa ma poi si trova ad inseguirla perché essa fugge costantemente. Ignazio, Willalme Filippo e Thiago vanno in direzione Tolosa per parlare con il Vescovo Folco dell’ossesso che sembra aver rivelato l’ubicazione di Bianca. Ovunque girino i loro occhi v’è devastazione (a parte quella fatta contro gli eretici Catari dalla Confraternita Bianca di Folco, anche gli Archontes sembrano interessati a devastare; tuttavia essi sequestrano tutti gli abitanti senza ucciderli…); passati da Folco proseguono per l’hospitum di Santa Lucina, dove sembrano essere rifugiati altri ossessi. Ignazio scopre così un tradimento imperdonabile, ma allo stesso tempo si rende conto che non v’è traccia di Uberto, che invece dovrebbe precederli da giorni. Piano piano il folle progetto alchemico del Conte di Nigredo esce allo scoperto, Ignazio mette uno accanto all’altro i tasselli che trova di volta in volta. Tuttavia qualcosa ancora non torna…
Come sempre Marcello Simoni ci trascina in un vortice di colpi di scena e intuizioni… come già mi era successo con il suo primo romanzo, ho letto di filato tutto il libro senza riuscire a fare pause. Mi piace veramente molto il modo di scrivere di questo giovane autore. Mi piace il personaggio di Ignazio così sagace ed al limite, così borderline… un po’ troppo borderline: forse in quei lontani e bui anni medievali non vi sarebbe stato spazio per un personaggio che sembra avere l’apertura mentale di un laico, nato e cresciuto devoto alle scienze, tipico però del ventesimo e ventunesimo secolo.
Da leggere, ovviamente!

domenica 21 ottobre 2012

Hunger Games


Inizio: 18 ottobre 2012
Fine:19 ottobre 2012

Ok, lo ammetto, quando ho cominciato a leggerlo ero abbastanza scettica. Mi sono detta: che bell’incrocio tra il Grande Fratello di Orwell, qualche vecchio gioco Maya, la vecchia storia di Teseo e Arianna e molti spunti da vari fantasy.. ma mi sono dovuta ricredere. E molto anche. Non ho mai letto nulla del genere. Le cinque stelline non stanno tanto per il libro in se, ma per come è costruito il personaggio di Katniss: la Collins ha fatto davvero un ottimo lavoro. 
Futuro. Distretto 12. Giacimento. La realtà di Katniss è una realtà molto dura, fatta di stenti e di sacrifici. In una parte non precisata del Nord America esiste una città ricca, Capitol City e 12 distretti divisi per prodotti (distretto agricolo, distretto industriale, distretto dedicato alla produzione di beni di lusso, etc..) che le girano attorno. Questo è il risultato di una dura lotta, avvenuta tempo addietro, che si è conclusa con la distruzione del distretto numero 13 e un inasprimento delle leggi. Katniss vive con la madre e la sorellina Prim, il padre è morto a causa di un’esplosione in miniera; si, perché, nel Distretto 12 si estrae carbone, questo è il lavoro. Se è difficile riuscire a sopravvivere con un capofamiglia che cerca di provvedere alla famiglia, figuriamoci quali difficoltà debbano affrontare quotidianamente tre donne abbandonate a loro stesse. Con una sorella da proteggere e mantenere ed una madre inesistente rinchiusa nel proprio dolore, Katniss si autonomina capofamiglia e pertanto a lei spetta provvedere al sostentamento di tutti. Dopo aver passato parte del suo tempo ad avventurarsi nel Prato per raccogliere quante più erbe utili e commestibili, sconfina dalle reti di protezione del distretto per poter cacciare con arco e freccia, dono di suo padre, della selvaggina nel bosco; anche se non è permesso le rivende in una specie di mercato nero, con la benedizione del sindaco che, al posto di una discreta quantità di fragole, chiude un occhio. Con lei c’è Gale, amico e compagno di caccia, con il quale ha stretto un patto: dividere sempre i profitti per poter sostenere entrambe le famiglie. Non esistono molte alternative per le famiglie del Distretto, lavorare duro e mangiare pochissimo, quel poco che è permesso loro avere attraverso le tessere. Le tessere sono aiuti che Capitol City da (rifornimento di olio o cereali per un mese, ad esempio) in cambio di un prezzo molto alto: una nomina. Le nomine sono striscioline di carta con scritto il proprio nome, che vanno in un urna utilizzata durante la mietitura. Capitol City, per ricordare a tutti la sua supremazia, organizza ogni anno gli HUNGER GAMES, giochi nei quali 24 ragazzi (12 maschi e 12 femmine, presi a coppie nei distretti) vengono sorteggiati dalle urne e dovranno combattere in un’arena senza esclusione di colpi, fino a quando non ne resterà soltanto uno. Il vincitore. A lui/lei toccheranno fama e ricchezza fino alla fine dei suoi giorni. Ma vincere questo gioco, per uno del Distretto 12, mezzo morto di fame ed incapace di utilizzare le armi, è praticamente impossibile. Solo due vi sono riusciti in 74 anni di giochi. Se non basta l’aspetto cruento di questi poveri ragazzi, tra i 12 e i 18 anni, mandati a morire, si sappia che Capitol City ha organizzato questi giochi come un reality, in diretta 24h su 24, costantemente sotto gli occhi di tutti. I ragazzi dei distretti più ricchi sono addestrati per una vita a questo avvenimento, ore ed ore di lezioni di armi, ginnastica, ottimi pasti, li preparano ad attendere quel giorno per dimostrare a tutti la loro supremazia. Ma quando Katniss sente il nome della sorella, si offre volontaria, dandosi già per spacciata. Non permetterebbe mai alla piccola Prim di entrare in quell’arena. Insieme a lei viene estratto Peeta Mellark, figlio del fornaio e molto più robusto di lei. Dopo un breve saluto alla famiglia i due prescelti vengono isolati per essere mandati a Capitol City dove vengono preparati esteticamente e poi fisicamente alla loro prova. Le uniche persone in grado di aiutarli sono Effie Trinket e Heymitch, quest’ultimo in particolare è uno dei due vincitori degli Hunger Games del Distretto 12, ma a causa della sua perenne abitudine all’alcool non rappresenta un valido aiuto. Dopo una fastosa sfilata ed alcune interviste che permettono a Katniss e Peeta (che fa una dichiarazione di amore a Katniss) di farsi amare dal pubblico, comincia la sfida. Nessuno fino al momento dell’inizio dei giochi conosce l’ubicazione dell’arena, nessuno sa in che scenario consista. Lande coperte di ghiaccio, deserti, boschi, steppe, qualsiasi scenario può aprirsi agli occhi dei tributi. Inoltre gli Strateghi, coloro che si occupano di rendere interessante il reality, posizionano trappole, modificano le condizioni climatiche a loro piacimento, creano diversivi come incendi, siccità o temporali incessanti per spingere i ragazzi a riunirsi ed a scontrarsi. Ogni notte nel cielo l’inno è seguito dalle foto dei ragazzi che non ce l’hanno fatta. Katniss e Peete si ritrovano in una foresta, al delimitare della quale c’è un lago e un dirupo. Devono farcela per la loro sopravvivenza utilizzando le loro capacità di razionare cibo e procurarsene. Devono guardarsi le spalle. Dovrà rimanerne uno soltanto. La loro condizione di innamorati (o almeno questo è quello che fingono d’essere) porta la gente a parteggiare per loro. Heymitch (come gli altri sponsor) possono di tanto in tanto far recapitare ai loro tributi degli aiuti, dei doni, che permettano loro di far sentire il supporto dei loro Distretti e del pubblico di Capitol City. In questo mondo dove ognuno deve badare a se stesso per rimanere in vita c’è tuttavia lo spazio per alleanze, come quella tra Katniss e la giovane Rue, un tributo di soli 12 anni, come Primrose. Esiste una dimensione nella quale si può rimanere umani anche in una situazione così devastante. La cosa più difficile sarà affrontare Peeta, il suo compagno di distretto, colui il quale ha confessato a tutta Capitol City di avere una cotta per lei, colui che le ha tenuto la mano davanti alla folla durante la sfilata e che da bambino le regalò del pane vedendola malnutrita. Come sarà possibile uccidere lui? Katniss non vorrebbe tutto questo, la sua unica speranza è che muoia per mano di qualcun altro, tuttavia non riesce a figurarsi che quel ragazzo tanto buono e gentile, diventi un cadavere per il divertimento di una società malata. Katniss è come un animale in gabbia, furibondo e furioso, con le unghie ed i denti in vista, pronta a uccidere per non essere uccisa, pronta a tutto per tornare vittoriosa alla sua famiglia… quando qualcosa nel regolamento improvvisamente cambia e le da nuova forza…
Non posso né voglio aggiungere altro. Leggetelo. Avevo sottovalutato molto questo libro e ne sono stata piacevolmente stupita, talmente stupita da leggerlo di filato in una sola giornata. Ho già comprato i seguiti che spero siano altrettanto belli.. e tanto per la cronaca ho comprato anche il film!!!!

venerdì 19 ottobre 2012

La donna abitata

Manco da un po'... continuo a leggere ma non sono più riuscita a trovare tempo per recensire... malissimo!! Sono indietro di almeno quattro recensioni -_-
Per non perdere altro tempo, a discapito dell'ordine cronologico, pubblico una recensione fatta ieri, fresca fresca... a presto seguiranno anche le altre!!!

Inizio: 19 agosto 2012
Fine: 18 ottobre 2012 


Davvero molto bello. Non conoscevo Gioconda Belli e nemmeno la storia del Nicaragua. La mia conoscenza si limitava all’America del Sud. Purtroppo non v’è molta differenza nella storia politica del Centro America, che ha sofferto e soffre ancora delle stesse ingiustizie rese tristemente note dai cugini Cileni, Argentini e Peruviani. Avevo già avuto un assaggio di quel mondo con Junot Diaz, uno scrittore dominicano; la storia si ripete uguale anche a Faguas (città inventata dalla Belli unendo le due parole fuego & aguas). 


A mia zia era stato consigliato da un’amica, ma si era arresa alle prime cinquanta pagine. Sicuramente è un libro impegnativo, rappresentativo di una determinata situazione socio politica e pertanto ricco di particolari basati su un fondo culturale che va conosciuto un po’ più da vicino. Gioconda Beli non è una semplice scrittrice, ma una vera e propria macchina fotografica. Fotografa con un realismo incredibile tutta una serie di personaggi che hanno una loro dimensione all’interno di una cornice. Ogni scrittore è figlio del proprio contesto, ma ce ne se sono alcuni che fanno del loro contesto il tema principale. Non il banale sfondo.

1973. Lavinia è una ragazza giovane, un architetto, figlia della borghesia alta di Faguas. Ma le sue vere origini sono state smorzate e modellate dall’amata zia Ines, che da sempre le ha insegnato l’importanza dell’emancipazione femminile e della propria indipendenza, in netto contrasto con l’ideale di donna Nicaraguense. Così quando la cara zia muore, Lavinia va ad abitare nella sua casa, ritrovandosi sola e guadagnandosi la capacità di decidere per se stessa. Trova lavoro in un importante studio di architetti dove lavora con Julian e Felipe. Oltre alla donna delle pulizie, Lucrecia, a tenerle compagnia c’è solo un bellissimo albero di arance che sembra fiorire e dare frutti anche grazie alle sue carezze e parole. Un albero che si apre a lei e che le da conforto. Quasi fosse vivo ed avesse un animo. E la realtà non è poi così diversa. Quell’albero che stende le sue foglioline verdi al sole cocente di Faguas è “abitato” dallo spirito della guerriera Itzá, giovane india morta insieme al compagno Yarince lottando contro i conquistatori spagnoli. Itzá entra nel corpo di Lavinia con una spremuta d’arancia, ma senza impossessarsene. Passa solo la sua conoscenza, il suo carattere, la sua determinazione in un mondo maschilista e violento; passa in lei la fiducia e la capacità di credere nelle proprie capacità. È tutt’altro che un personaggio marginale, è coprotagonista. Le continue incursioni di Itzá aprono al lettore un parallelismo lontano di secoli, ma che riflette ugualmente le problematiche attuali: la lotta, la voglia di libertà, il sacrificio necessario per essere liberi e rendere liberi i propri figli. 

La vita di Lavinia scorre uguale e monotona, con qualche incursione nel mondo benpensante dal quale lei si è ribellata anni prima, fino a quando, una notte, si trova coinvolta sua malgrado nel salvataggio di un clandestino: Sebastian. Felipe fa parte del Movimento che combatte il regime del Grande Generale (che sicuramente possiamo identificare con il dittatore Somoza, apertamente combattuto dalla coraggiosa Gioconda insieme ai compagni del movimento Sandinista) ed una notte salva Sebastian da una retata con annessa sparatoria che uccide molti dei compagni frequentati dai due. Felipe, non sapendo dove altro portare Sebastian, lo porta sanguinante e bisognoso di cure a casa di Lavinia (con la quale ha una specie di relazione). La convivenza forzata dura una settimana e Lavina si trova ad affrontare, da sola e per la prima volta, la paura. Paura di un mondo che non le appartiene e che non vuole conoscere, paura di essere scoperta e arrestata, paura di trovarsi di fronte una realtà che ha sempre ignorato. La realtà di chi combatte per una giustizia vera, uguale per tutti. Superata la paura Lavinia prende la decisione più importante della sua vita: entrare a far parte del Movimento. Dopo un percorso doloroso volto a comprendere cosa sia veramente giusto, la ragazza affronta Flor, conosciuta la notte della retata, chiedendole di entrare ufficialmente a fare parte del Movimento. Lavinia però non può dare alla sua vita la svolta che vorrebbe: la sua posizione di altoborghese, al di sopra di ogni sospetto, le apre strade negate alle persone di bassa estrazione sociale che compongono il Movimento. Inoltre la moglie del Generale Vela, braccio destro del Grande Generale, le affida la costruzione della nuova maestosa tenuta dei Vela. Si apre per lei una strada di collaborazione molto diversa da quella che si aspettava di percorrere: niente abbandono delle sue abitudini e posizioni apertamente contrarie al regime, ma, al contrario, posizioni ostentatamente altoborghesi per non dare nell’occhio e poter svolgere indisturbata il lavoro di spia. Raccogliere voci, commenti, informazioni sui Vela, etc. In tutto questo Itzá fa sentire la sua presenza quotidianamente, tanto da far si che Lavinia pronunci il nome di Yarince senza nemmeno accorgersene, ignorando completamente chi sia costui. Bisogna ammettere che la presenza della india in realtà si fa notare soprattutto dal lettore; non esistono se non pochi momenti nei quali la vita delle due donne realmente si incrocia e sembra sfiorarsi, Lavinia percepisce solo poche volte ed in modo confuso la presenza di qualcun altro. 
Lungo tutto il romanzo corre un parallelismo incredibile tra questi due meravigliosi personaggi che porta facilmente il lettore ad immaginare una conclusione che può, proprio per questo, apparire scontata. La bellezza della scrittura di Gioconda e la sua capacità di trascinarci nel mezzo delle azioni fanno correre il lettore verso la fine, verso le ultime pagine, in modo concitato, divorando riga dopo riga… 
Lo consiglio vivamente a tutti, ma consiglio inoltre di leggere un poco della biografia di Gioconda Belli, anche una non dettagliatissima, basta Wikipedia. Sicuramente sapere di più della vita della scrittrice vi permetterà di apprezzare a pieno questo splendido romanzo… autobiografico.

venerdì 24 agosto 2012

Avete dei consigli per me???

Ciao ragazzi!!!

Dovrei acquistare dei nuovi libri... ho liste piene di titoli e non so mai da quale cominciare...
Vorrei sapere se qualcuno di voi ha letto di recente qualcosa che si sente di consigliarmi :)
Inserite i vostri consigli nei commenti :)

Grazie

Big Fish

Inizio: 29 giugno 2012
Fine: 24 agosto 2012


Anni fa vidi per caso il film di Tim Burton. Ne rimasi stregata e con grande gioia scoprii che il film era stato tratto da un omonimo libro. Doveva essere un libro meraviglioso!!!! Normalmente prima leggo i libri e dopo (se è il caso) guardo i film; in questo caso però non avevo avuto scelta. Dovevo leggere anche il libro! L’ho cercato in lungo e in largo ed alla fine tre mesi fa l’ho trovato su IBS. Mi ripromettevo di leggerlo subito e l’ho cominciato il 24 giugno… ma poi è rimasto parcheggiato in doppia fila sul comodino per mancanza di tempo. L’ho portato in vacanza con me decisa a finirlo. Dico “decisa” perché in realtà mi ci è voluta molta determinazione già solo per arrivare a metà… finirlo rappresentava un problema. L’ho trovato noioso, ma noioso tanto. Insulso, inutile. Niente … il vuoto .. non capisco. Partendo da un film tanto bello mi aspettavo un libro a dir poco eccezionale… e mi sbagliavo. Leggendolo mi sono accorta di quanto le varie storielle raccontate su Edward Bloom siano slegate e anche un po’ scarne e quindi adattabili cinematograficamente con una certa libertà arricchendole di molti elementi che non fuorviano ma regalano più magia. Già, la magia delle immagini. Peccato che un libro dovrebbe avere la stessa magia delle immagini, che permettano al lettore di vedere con la mente quello che sta leggendo (Il signore degli Anelli è un esempio di capacità di creare perfette immagini nella mente del lettore). Invece Big Fish non ha questa capacità. È la collezione privata di alcune storielle di famiglia, quelle che girano attorno al personaggio di Edward Bloom, uomo nato in una giornata di pioggia e che dal nulla è diventato un eroe, un rispettabile uomo d’affari, un superuomo, un viaggiatore, etc… Le storie vengono raccontate al lettore con una semplicità disarmante (e disarmante in questo caso non è un complimento) in un momento molto particolare della vita di Edward: la sua prossima dipartita a miglior vita. Il Signor Bloom è steso da giorni nel letto della camera degli ospiti in procinto di salutare la terra e, alternativamente, gli fanno visite la moglie Sandra, il figlio William e il Dottor Bennet. I tre si trovano in casa con lui ed ogni momento pare essere ottimo per fare quelle che poterebbero essere le ultime chiacchere. Dico chiacchere perché Edward Bloom continua a scherzare, non vuole discorsi seri, grandi parole o silenzi solenni, no no lui continua a raccontare storielle buffe e barzellette facendo infuriare William, che si chiede come il padre non riesca ad essere serio nemmeno in un momento così. Come dice la quarta di copertina “a furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie”; questo è esattamente quello che è accaduto ad Edward Bloom, non si scindono più le storie fantastiche da quelle realmente accadute. Lui è tutte quelle storie, né una di più né una di meno. Ho cercato di capire se vi fosse un qualche significato allegorico dietro tutto questo; la forza della vita sulla morte? La capacità di non arrendersi? Sinceramente se esiste, io non l’ho trovato. Così l’unica idea che mi sono fatta è che sia un libro costruito in modo alternativo (con buona originalità) ma fondamentalmente vuoto. Vi si può scorgere qualche insegnamento, qualche morale, ma sicuramente è vuoto. Non lascia nulla, non aggiunge nulla. Racconta storie fantasiose (molto fantasiose) che rasentano l’assurdo e la mitizzazione… ok, fermi tutti… Non voglio dare un’immagine così negativa del libro, però è veramente difficile dire dei pregi. L’unico forse è la poetica. Si la poesia. Le storie emanano un non so che di aulico… credo sia il linguaggio misto al contenuto, ma rende questa impressione. Leggetelo. Sono 187 pagine. Sembrano poche e sicuramente numericamente lo sono, ma non sarà così rapido come pensate. Magari qualcuno di voi mi farà notare cose che mi sono sfuggite. Mi piacerebbe davvero trovare un qualche elemento interessante, ci ho provato ma non ci riesco. Non riesco nemmeno a ricordare una delle storielle raccontate… non credo sia un buon segno!

giovedì 23 agosto 2012

Nostra Signora della solitudine


Inizio: 14 agosto 2012
Fine: 14 agosto 2012

Avevo letto un solo libro di Marcela Serrano e mi era piaciuto moltissimo; questo mi è piaciuto ancora di più. Non che avessi dubbi, ma la lista di libri che leggerò di questa meravigliosa autrice sarà decisamente lunga…
Chiunque abbia studiato la storia dell’America Latina sa che la scomparsa è un tema che tocca generazioni intere. La ricerca dell’identità, la solitudine, la sofferenza sono scritte nel dna di questo continente e dei suoi abitanti. Marcela Serrano è cilena e non fa eccezione; è seconda solo ad Isabel Allende in Cile e le due scrittrici sono accumunate da molti elementi culturali, che non sono solo loro, sono un patrimonio di tutti. In questo libro si racconta la vicenda di una donna, Carmen Lewis Avila, scrittrice di successo e donna di fascino. Fascino nel senso vero della parola, non solo fisico … carisma allo stato puro. Quando scompare nel nulla il marito, Tomas, affida ad una detective, Rosa Avallay, il compito di scoprire cosa sia successo alla moglie. Non è che si possa tanto facilmente definire questo libro un giallo, perché si rischierebbe di sminuirne il contenuto, tuttavia si può leggere anche in questo modo. C’è un mistero da risolvere, scoprire cosa sia successo a Carmen e quindi se vogliamo, possiamo anche etichettarlo così. Rosa comincia a muoversi nell’ambiente famigliare di Carmen, cercando di raccogliere informazioni utili circa la donna che deve trovare; ascolta amici, famigliari, domestici, chiunque abbia qualcosa da dire in merito a questa figura che Rosa deve ricostruire da capo a piedi. E non è cosa facile. Quello che piano piano si delinea è molto diverso da quello che ci viene fornito all’inizio. Rosa si trova di fronte immagini sempre più complesse che le fanno capire quanto sia profonda e complicata la figura di Carmen; descritta da tutti come molto brillante in realtà ci appare come una donna fragile, algida, disinteressata al mondo. Cosa può aver spinto questa donna ad andarsene? Rosa oramai è convinta che non le sia successo niente, che sia un allontanamento volontario.. ma perché? Una vita agiata, al fianco di un uomo innamorato che l’ha raccolta tempo addietro come una bambina spaventata e l’ha resa la regina della sua casa, anche contro il parere della figlia di lui. E poi c’è Vicente… cosa può spingere una madre a lasciare un figlio? Oramai è un uomo, si è sposato, per anni ha vissuto all’interno della nuova famiglia ed è stato trattato come un figlio (anzi meglio della figlia di Tomas, Ana Maria). Anche se Vicente non è figlio suo, ma solo di Carmen. Non si sa chi sia il padre. O meglio, solo Carmen lo sa. Tomas è convinto che Carmen sia stata rapita da esponenti della guerrilla colombiana per via di una vecchia storia con un combattente arruolato alla guerrilla. Eppure se anche fosse, non le farebbero del male, mai, proprio in nome di quel vecchio rapporto, nessuno la tratterrebbe contro la sua volontà. Ana Maria pensa che Carmen se ne sia semplicemente andata, così, stufa di una vita che non rispecchiava quello che lei veramente voleva dalla vita, abbandonando un uomo al quale probabilmente voleva bene si, si ma che non amava. Un uomo per quale aveva fatto l’indispensabile ma nulla di più. Non aveva mai cambiato la sua natura di donna indipendente e selvaggia. Quasi tutte le strade portano Rosa in un vicolo cieco. Fino a che il suo capo non decide  di spedirla in Messico. Il Messico aveva rappresentato per Carmen una tappa fondamentale della sua vita e forse lì si possono trovare risposte a vecchie domande o risposte a domande che ancora nessuno si è posto. Così Rosa si allontana da Cile e parte per una nuova avventura, che ha molto di personale, visto che anche lei, per il Messico,  ha un debole. E forse questa vicinanza emotiva permetterà all’investigatrice di ragionare come Carmen e a ricostruire una parte della sua vita sepolta e sconosciuta a molti, ma non a tutti.
Un libro davvero bello, scorrevole ed interessante, che vi terrà incollati fino all’ultima pagina. Io l’ho divorato in un giorno e scommetto che lo stesso capiterà a voi non appena leggerete le prime pagine. La Serrano conquista tutti!

Tortuga


Inizio: 14 agosto 2012
Fine: 15 agosto 2012


Sono davvero rimasta piacevolmente colpita da questo libro. L’ho comprato tempo fa su IBS e già da un po’ giaceva sulla mia libreria, in doppia fila. I pirati e il loro mondo rappresentano una parte di storia che mi ah sempre molto interessato. Al di là dei meri avvenimenti storici, scrivere di pirati e scrivere bene, non è così facile. Quindi, guardavo il libro di Valerio Evangelista chiedendomi se dentro quelle pagine avrei davvero trovato quello che cercavo. Ma le vacanze sono vacanze e così mi sono portata in montagna una dozzina di libri da leggere… Tortuga è tra quelli.
Rogerio de Campos è un portoghese a bordo di una nave spagnola, la Rey de Reyes. È un nostromo e, quando i pirati attaccano la nave su cui viaggia, è uno dei pochi risparmiati. Lorencillo (Laurens de Graaf), a capo del Neptune (ciurma appartenente ai pirati dei Fratelli della Costa), lo risparmia perché l’Ammiraglio De Grammont ha bisogno di un nuovo nostromo. A stare a sentire la ciurma del Neptune, Lorencillo può essere considerato un santo o un simpatico burlone se paragonato alla ferocia che sembra avere l’ammiraglio. Rogerio è scioccato per la violenza inaudita di Lorencillo e della sua ciurma. L’uomo è un ex gesuita e come uomo religioso non sembra tollerare i comportamenti violenti e gratuiti perpetrati dalla ciurma sull’equipaggio del Rey de Reyes, figuriamoci accettare la vita che gli si prospetta davanti. Non sa cosa aspettarsi, ma non ha scelta, passa sul Neptune e diventa un Fratello della Costa. In realtà, nonostante le sue paure, la vita sul Neptune comincia bene e l’uomo, rapidamente, si guadagna la stima di quasi tutta la ciurma: si presta a qualsiasi tipo di lavoro, si da da fare, sembra instancabile, in più … placa le tempeste con una semplice preghiera. La ciurma si convince di aver acquisito un ottimo elemento e Rogerio comincia a credere che forse questa vita non è così male come pensava. Certo non è facile sopportare alcuni atteggiamenti che Rogerio trova brutali e vergognosi (come ad esempio la sodomizzazione dei mozzi, ragazzini di dieci undici anni, da parte della ciurma), ma cerca di adattarsi come può e riesce perfettamente nell’integrazione. Il suo posto però non è a bordo del Neptune, Lorencillo infatti lo sta portando a conoscere l’Ammiraglio De Grammont, che comanda Le Hardi. Rogerio però non vorrebbe abbandonare il Neptune; a bordo si trova qualcuno (che lui definirebbe un qualcosa) al quale tiene molto. In seguito ad uno scontro la carena del Neptune si era completamente allagata e gli schiavi, legati, erano morti tutti; il gesuita era riuscito ad intervenire in tempo per salvare un’ultima schiava dall’annegamento. Da quel momento Rogerio considera questa donna come fosse sua, come se gli appartenesse. Le porta le sua razioni di cibo, acqua fresca, le parla molto cercando di farle intendere le sue pacifiche intenzioni, nessuno vuole farle del male. Cerca a lungo di mantenerne segreta la sopravvivenza, tuttavia Lorencillo sa perfettamente che una donna tra gli schivi è sopravvissuta e, vista la sua bellezza, decide di non venderla ma di donarla all’Ammiraglio De Grammot. Ovviamente questa, per Rogerio, non è una buona notizia ma è un’opportunità in più per non perdere la donna, che viaggerà con lui su Le Hardi. In uno dei vari abbordaggi a scopo di saccheggio, Lorencillo viene informato che re Luigi XIV ha promesso pace alla Spagna e condanna apertamente la pirateria a danni di galeoni spagnoli. La Filibusta non ha più l’approvazione reale, deve smettere di saccheggiare i mari in lungo e in largo e soprattutto non deve infastidire le navi spagnole. Questa è una cosa inaccettabile; sono le navi che rendono di più, ricche d’oro, d’argento, di schiavi ed anche di cibo. La Filibusta si riunisce per discutere della questione, come una piccola democrazia. Finalmente Rogerio conosce l’Ammiraglio De Grammot, che, nonostante tutto quello che lo ha preceduto, non sembra spaventarlo, non sembra impressionarlo particolarmente. Forse anche perché De Grammot è malato di gotta e non riesce a mantenersi in piedi per molto tempo se non grazie agli intrugli del medico di brodo (e personale) Exquemeling. L’immagine che ne ha il gesuita è quella di un povero vecchio. Il povero vecchio, invece ha forza da vendere e un carisma incredibile; decide che non ci si può assolutamente piegare al volere di un sovrano a chilometri di distanza e decide di andare a saccheggiare una città con una difesa straordinaria: Campeche. Tutta la filibusta parte per l’impresa. Rogerio nel frattempo cerca di vedere sempre più spesso la sua schiava, che ora passa il suo tempo chiusa in una stanza attigua a quella dell’Ammiraglio e si ingegna affinché la ragazza gli venga consegnata da De Grammot come ricompensa. Non importa quali siano le ragioni dell’Ammiraglio, il gesuita farà ogni cosa in suo potere (ogni cosa) per avere ciò che egli crede suo di diritto.  Rogerio si sta spingendo ben oltre il consentito.
Non vi rivelo l’ultima parte di questa storia davvero avvincente, nella quale si può vedere l’evoluzione di Rogerio da religioso a spietato pirata. C’è un substrato molto consistente che parla proprio di quesito: di come Rogerio cambi, in modo radicale; ci sono colpi di scena che permettono al lettore di venire a conoscenza di elementi importanti per la valutazione generale delle cose… e poi la fine… bè vi renderete conto di quanto Evangelisti sia stato bravo! S’è salvato dalla fine più scontata e moralista. Si intravede invece la provvidenza, l’equilibrio delle cose, la suprema giustizia. Leggetelo!! Rimarrete soddisfatti sia dalla storia che dalla scrittura di questo bravissimo autore!

mercoledì 22 agosto 2012

La formula del Professore


Inizio: 26 giugno 2012
Fine: 21 agosto 2012


Dunque… cerchiamo di dare un parere obiettivo. Non posso dirvi che sia un brutto libro, no brutto no. Forse un po’ noioso si. Però d’altro canto descrive molto bene il modus vivendi dei giapponesi, quindi da un punto di vista socio culturale è decisamente buono. Non mi ha convinto troppo, forse mi aspettavo un libro diverso.. non so nemmeno io. Sarà che il Giappone da un certo punto di vista mi piace molto, da altri non mi appassiona per niente. Con tutto il rispetto parlando per i giapponesi. Devo dare una seconda opportunità a quest’autrice, che non conoscevo prima e che ho conosciuto grazie a questo libro. Io ho un unico contatto con il Giappone.. e si chiama Banana Yoshimoto. Ok siamo su due dimensioni molto diverse. Non credo si possa decidere se un autore piace o meno dopo la lettura di un solo libro, quindi ci riproverò…
È la storia di una donna, una governante, che viene mandata dalla sua agenzia a lavorare nella casa di un professore. A richiedere una governante è la cognata di lui, una signora impettita e molto algida che ha già provato a cercare una domestica per il cognato, ma tutte sono scappate dopo poco tempo. Questo perché il pover uomo, a seguito di un incidente stradale, ha riportato gravi problemi cerebrali; è perfettamente cosciente ed autonomo ma la sua memoria dura solo ottanta minuti. Per questo motivo il suo unico vestito, un completo giacca e pantalone invernale, è buffamente costellato di bigliettini che riportano le cose importanti, quelle che gli permettono di sopravvivere. L’uomo vive solo in una casa distinta da quella della cognata vedova di suo fratello. Il nome della nostra protagonista non viene mai citato ma è lei a raccontare la storia ed è lei il nostro metro di misura. Fin dall’inizio la donna si rende conto della complessità del mondo interiore dell’uomo che ha davanti. Lui non le chiede né come si chiama né da dove viene, ma che numero di scarpe porta. Questa buffa domanda da il via ad una serie di considerazioni matematiche nelle quali cerca via via di coinvolgere la governante. Il professore era un ricercatore matematico e questa sua capacità di lavorare con la matematica non ha sofferto. Ricorda perfettamente tutto ciò che ha studiato e tutto ciò su cui ha lavorato; ancora adesso il professore risolve i quesiti matematici di una rivista mensile. La governante prende in simpatia questo affabile e strano vecchietto che sembra avere molta voglia di insegnare agli altri e gradisca la compagnia. Cerca di rispettare i suoi tempi e le sue piccole ma ingombranti abitudini; si muove leggerissima per la casa pulendo ogni cosa  ma senza cambiare di una virgola la posizione delle cose del professore; quella casa è come lui: caotica ma con un filo rosso che non tutti possono capire. L’uomo la istruisce, letteralmente, su questioni matematiche che lei si sforza di capire per renderlo felice, ma la vera svolta è rappresentata da Ruto, figlio della governante che su insistente richiesta del professore, al ritorno dalla scuola (contro i canoni dell’agenzia) viene regolarmente alla dependance e si ferma con loro fino alla fine dell’orario di lavoro della madre. Anche Ruto, che il professore chiama radice quadrata per via della sua testa un po’ piatta, ha un post-it dedicato sul polso che ricorda al professore chi sia e perché sia lì. Ogni 80 minuti. L’amicizia ed il rapporto tra i tre cresce di giorno in giorno, nonostante la memoria a breve termine. Come fossero una piccola famiglia. La governante cerca di introdurre nella vita del professore piccoli fuori programma, come una passeggiata e una partita di baseball (anche se lui crede che la squadra dei Tigers sia ancora quella degli anni 70). Non vi sono più orari da osservare, non importa se viene pagata per un orario molto ridotto da quello che effettivamente fa ogni giorno, l’importante è regalare un po’ di felicità a quest’uomo che tanto si impegna per aprire loro il mondo della matematica. Un giorno però a sorpresa viene licenziata. Così su due piedi. E altrettanto su due piedi viene riassunta. (non vi dico perché se no vi rovino la storia – non posso rovinarvi l’unico colpo di scena del libro). La loro vita riprende con le stesse vicissitudini e gli stessi problemi di sempre... fino all’undicesimo compleanno di Ruto! Il lettore ha la strana percezione che la familiarità aumenti, che la confidenza aumenti, che i rapporti si intensifichino, ma questo si scontra con la patologia del professore. Come può ricordare cose avvenute 80 minuti prima? Non può. Ogni momento o elemento importante viene annotato dal professore su un nuovo foglietto che fatica a trovare posto sui suoi abiti già stracolmi. Ogni momento condiviso o bello ha un suo post-it, che conferisce al professore solo il potere di prendere nota che la tal cosa è avvenuta, ma non di ricordarla, ovviamente. Su un post it c’è scritto “Ruto, il figlio della governante”, che gli permette di riconoscere il bambino che ogni 80 minuti vede per la prima volta, ma non gli consente di ricordare tutti i momenti condivisi con lui, la quotidianità e le emozioni. Quindi questa percezione di “progresso” ci arriva dalle parole e dal punto di vista della governante perché per lei, ovviamente, tutto quello che è stato vissuto è ben saldo in un passato recente, che lei non dimentica. Mette un mattone sull’altro (operazione che il professore non può fare), costruisce un muro sempre più solido ed il lettore non può non condividere questo punto di vista, perché anche per il lettore le vicende sono fissate in punto preciso del passato. Raccontata così vi chiederete che cosa ci possa essere di noioso… di noioso ci sono tutte le incursioni matematiche! E badate bene che non sono quelle del professore ad essere noiose, ma quelle che ogni volta, successivamente, fa la governante. Sembra di tornare a leggere Il Mago dei Numeri… quindi nel complesso è un po’ pesante, o almeno, a me è sembrato tale.
Leggetelo, in ogni caso ne vale la pena perché è scritto bene, ha un filo interessante, anche se non è che le pagine scorrano così velocemente; chissà mai che qualcuno di voi mi suggerisca un aspetto che non ho considerato o legga in differente modo qualche passaggio.

Se ti abbraccio non aver paura

Inizio: 17 agosto 2012
Fine: 19 agosto 2012



Decisamente molto interessante e sicuramente altrettanto toccante.
Non è però un libro strappa lacrime come si potrebbe pensare, molto dolce e leggerissimo, racchiude pensieri molto profondi ma anche molta forza. Questa è la storia di Andrea, un bellissimo ragazzo (come testimonia la foto) e di suo padre Franco. Più che la storia, narra di un momento particolare della loro vita, forse uno dei più importanti finora: una vacanza di tre mesi on the road partendo dagli Stati Uniti, giù attraverso il Messico, passando per Panama ed arrivando fino in Brasile. Tre mesi di moto, vento nei capelli, mare, sole, tanti incontri, sorrisi… e cosa c’è di stupendo e meraviglioso in questa storia? Tutto, perché Andrea, che ha sedici anni, è autistico da quando ne ha tre. Franco, contro il parere di medici e amici, supportato solo dalla moglie e dall’altro figlioletto, decide di avventurarsi da solo con suo figlio fin dall’altra parte del mondo, sperando che questo viaggio gli insegni qualcosa in più sul mondo che Andrea non lascia intravedere agli altri, fatto di colori, suoni e tanti abbracci. Andrea ama il contatto fisico, adora baciare ed abbracciare la gente, proprio per questa sua voglia di dimostrare amore a chiunque i suoi genitori, quand’era ancora un bambino, avevano fatto stampare tante magliette colorate con scritto “se ti abbraccio non aver paura”. Ci si chiede come l’abbraccio di un bambino possa intimorire qualcuno… ma forse il gesto improvviso non ci permette immediatamente di comprendere, di mettere a fuoco con sufficiente velocità quello che ci viene fatto e ci spaventiamo. Per l’abbraccio, ovvio, non per il bambino. È solo un modo per comunicare affetto o per salutarci, per dire “ehi ciao”. Andrea, comunque, ha un altro modo per comunicare, appreso assieme alla madre, attraverso la tastiera di un computer. Frasi a volte brevi a volte meno, che racchiudono concetti precisi, diretti come fucilate. Chi ha avuto la possibilità di conoscere un bambino autistico, troverà in Andrea tutti gli elementi famigliari che mille volte abbiamo visto e magari faticato a comprendere. L’autismo molto probabilmente avrà diversi livelli, non sarà identico per tutti, ma devo dire che nei gesti di Andrea ho ritrovato gesti di un altro bambino, che ho avuto la possibilità di vedere a lungo. E come già sapevo questi bambini, ragazzi, adulti capiscono perfettamente quello che gli viene detto, ascoltano e comprendono benissimo, la loro difficoltà è comunicare. Spesso, nell’incapacità di riuscire, si arrabbiano, si mordono, si graffiano. Sono solo molto arrabbiati e stanchi di non riuscire a dire quello che provano e pensano. La tastiera è un bellissimo modo per insegnare loro come far arrivare quelle parole che non riescono a dire. Anche il bambino, ormai ragazzo, che conosco io ha adottato questo modo e comunica. Franco, armato di un gran coraggio, decide di fare vivere una esperienza unica e meravigliosa ad Andrea, cercando di aprirgli un mondo nuovo di opportunità, colori e visi sconosciuti. Certo non mancano le preoccupazioni, cosa accadrebbe se Franco si sentisse male? Se perdesse il figlio? Pensieri che ogni tanto lo bloccano, ma poi gli danno nuova forza per andare avanti. Niente del viaggio è stato programmato, solo la prima notte a Miami… poi il resto seguirà come viene. Fulvio Ervas, l’autore, dedica un capitolo ad ogni tappa importante del viaggio di Andrea e Franco; la voce narrante è quella di Franco, ovviamente, che racconta in modo dolce tutto ciò che accade facendo trasparire di tanto in tanto scorci di vita, momenti passati, dolori, preoccupazioni e pensieri verso quel figlio che non potrà mai guarire dall’autismo, conviverci si, ma guarire no. Eppure Franco ha deciso di far vivere ad Andrea questa esperienza con meno filtri possibili, ridotti veramente all’osso; lo lascia molto libero, pur mantenendo un contatto strettissimo a livello mentale, ma fisicamente libero. Arriva al punto di affidarlo ad altri ragazzi e persone che vogliono la sua compagnia. Lo lascia andare, da solo, con persone in apparenza troppo estranee. Ammetto che mi sono detta “che incosciente”, ma poi ho capito che Franco ha ragione ed io non sono nessuno per capire, figuriamoci per giudicare. Ho stimato molto la forza di quest’ uomo, che ha cercato di farsi un poco (o molto) da parte per lasciare al figlio la gioia di vivere come vuole la sua vita, non gli ha negato l’amicizia e l’amore delle persone. Forse anche perché un giorno, lui sappia trovare anche negli altri uno stimolo a vivere ed essere felice, non solo all’interno di quel meraviglioso e sicuro cosmo che è la sua famiglia.
Franco ha dato a tutti una grande lezione di vita. Mi rendo conto che parlo di Franco e poco di Andrea.. che è il protagonista assoluto di questo racconto. Se leggerete il libro vi renderete conto che non potrete non amare questo padre e questo figlio, non potrete non vedere quanto Franco abbia fatto per Andrea, quanto amore sprigioni questo libro. Quanta fiducia e voglia di vivere. E capirete quanto è importante il viaggio di Franco, ancora di più di quello di Andrea.

Non dire notte

Inizio: 16 agosto 2012
Fine: 17 agosto 2012


Ecco finalmente un libro che ti spiazza. Non avevo mai letto nulla di Amos Oz e, sinceramente, non sapevo nemmeno che esistesse un autore con questo nome (vergogna, vergogna!). la prima volte che ho letto il nome ho perfino pensato che fosse un autore australiano.. per via di Oz.. Mi è capitato tra le mani quasi per caso. Prima di partire per le vacanze sono passata a prendere un paio di libri, così… affinché non mi mancassero… e così ho afferrato un libro di Marcela Serrano (uno così a caso, se è della Serrano va sempre bene…), uno di Zivkovic e questo… la copertina mi piaceva. Scelta abbastanza varia e veloce a causa del pochissimo tempo a disposizione. Tuttavia sono felicissima di avere preso Non dire notte. Se vi dovessi davvero spiegare il perché di questa felicità, onestamente non saprei da dove cominciare, non è sempre facile spiegare cosa ci è piaciuto o cosa ci ha colpito di un libro. Solitamente è più facile descrivere i difetti che non i pregi. In ogni caso cercherò di trasmettere a voi quello che ha trasmesso a me. Entriamo in punta di piedi nelle loro vite: Noa è un’insegnante di letteratura e Theo è un ingegnere edile; i due sono una coppia da ormai sette anni, vivono a Tel Kadar ed hanno una differenza d’età di quasi quindici anni. Non hanno figli, non sono sposati e sono molto diversi tra loro, non tanto per una questione d’età (inizialmente ci pare quasi che siano due vecchietti in pensione!!!), ma da un punto di vista caratteriale. Il loro carattere si delinea piano piano lungo tutto il racconto. Il libro si può dividere idealmente a metà, alcuni capitoli sono raccontati da Noa, altri da Theo. La cosa interessante di questo racconto a due voci è che ci aspetteremmo di conoscere di più di Theo attraverso le parole di Noa e viceversa. Invece no. O meglio, Oz è molto bravo a darci l’impressione che un personaggio descriva e aiuti a comprendere l’altro, ma è altrettanto bravo a permetterci di capire la personalità dei protagonisti attraverso quello che loro stessi dicono. E fin dall’inizio, secondo me, è inevitabile farsi un’idea su entrambi. La loro vita procede normalmente fino a quando la scuola nella quale lavora Noa viene scossa da un fatto insolito e triste: un ragazzo, Immanuel, è morto in seguito ad un’overdose. Era un suo alunno. La morte del ragazzo inizialmente non scuote particolarmente la coscienza di Noa, è dispiaciuta, si, come lo sarebbe chiunque, è amareggiata per questa scelta sbagliata che Immanuel ha pagato con la morte, ma sicuramente non è coinvolta. Qualcosa comincia cambiare quando inizia a ricevere alcune informazioni che le elargiscono in modo gratuito: Immanuel amava la letteratura, Noa era la sua insegnante preferita, forse ne era anche innamorato, davvero non se ne era mai accorta?? A questo quadro sia aggiunge la richiesta del padre di Immanuel, rientrato in fretta e furia dalla Nigeria, di creare un centro di recupero per i ragazzi tossicodipendenti a Tel Kadar. Tutta la gestione ricadrà sulle spalle di Noa proprio perché Immanuel avrebbe voluto così. Qui comincia un’altra fase del libro, in qualche modo: all’inizio vengono presentati Noa e Theo nella loro quotidianità, qui la loro normalità comincia a vacillare. Theo è un uomo estremamente influente su tutti, pare risplendere di luce propria, ogni cosa che fa gli riesce molto bene e sa già che l’impegno che Noa si è assunta, senza peraltro avere motivo o dedizione per farlo, rappresenterà una grossa delusione ed una disfatta eclatante. Lui potrebbe tranquillamente aiutarla, ma le ha promesso che ne starà fuori, le ha promesso che non si impiccerà mai, che lei andrà avanti da sola e con le sue forze perché deve dimostrare a se stessa (e agli altri) che lei è Noa e riesce bene anche senza Theo. Così lui ne resta lontano, non si interessa di tutto quello che assorbe il tempo di Noa. Impegni, incontri, meeting, che la trascinano fuori di casa alle sei di mattina e le permettono di rientrare solo a tara sera. Si, perché non è che la cittadinanza sia così felice di avere dei tossici da internare in una struttura modello. Temono che questo porti altri tossici, spaccio di droga, criminalità, no grazie insomma. L’impegno che si è assunta con tanta pompa magna comincia a fare acqua da tutte le parti… ma Theo, come richiesto, non mette mano per aiutarla, o favorirla con la sua influenza, non intercede per lei, non mette una buona parola dove servirebbe. No grazie, Noa vuol fare da se.
Non voglio raccontarvi altro. In realtà, come vi ho già detto, la trama è molto semplice ma non è questo l’aspetto fondamentale di questo libro. Il punto di forza sono i personaggi, le loro personalità, i loro modi di affrontare la vita, i problemi, di affrontarsi l’un l’altro quotidianamente e imparare ogni giorno qualcosa di più.
Vi consiglio caldamente di leggerlo! Mi verrebbero in mente almeno tre domande da farvi… per vedere se alla fine abbiamo dedotto le stesse cose da questo bellissimo spaccato di vita. Ve le lascio qui sotto…
-      Chi tra Noa e Theo è più innamorato?
-      Chi tra Noa e Theo è più maturo?
-      Come definireste l’avvicinamento di Noa a Tal? 
Scusate, sembra un compito in classe!!! Hahaha non lo è giuro! Poi vi dico come la penso io!!!!!

lunedì 20 agosto 2012

L'Ultimo Libro

inizio: 11 agosto 2012
fine: 14 agosto 2012

Sicuramente non è all’altezza di Sei Biblioteche. Che dire, sono abbastanza perplessa… mi aspettavo qualcosa di più da questo autore che con il suddetto libro si era presentato così bene… ed invece questa è stata un po’ una grossa delusione. Grossa anche perché ero convintissima di trovarmi davanti ad un giallo bellissimo. Mi sembrava di rivivere lo sconforto provato leggendo La Biblioteca delle Anime. Qui la trama non è così scontata, tutt’altro, ti prende moltissimo, incalza fino alla fine, mancano poche pagine e non puoi far altro che divorarle pensando che devi assolutamente sapere… e poi, il libro è finito, la spiegazione è breve, assurda e confusa! E resti lì pensando che forse ti è sfuggito qualcosa. Non, in realtà non ti è sfuggito nulla, è proprio la fine che è assolutamente assurda. Non trovo altro termine per definirla. Ma andiamo con ordine… l’ispettore Dejan Lukic viene chiamato per via di un cadavere alla libreria Il Papiro, gestita dalla signorina Vera e dalla sua socia Olga. È Vera ad esporre i fatti: un uomo, che leggeva beatamente seduto su una poltrona non ha risposto ai suoi richiami al momento della chiusura; la signorina pensando fosse addormentato s’era accostata e lo aveva toccato… lui era già cadavere. Cosa può esserci di strano in una morte così? Nulla molto probabilmente, il povero uomo potrebbe avere avuto un infarto o qualcosa di simile. Tuttavia il medico legale non riesce a stabilire una causa certa della morte, niente infarto, niente aneurisma, niente ictus, niente di niente. Niente morte per cause naturali insomma. Il mistero si infittisce quando a quella dell’uomo segue anche quella di un ragazzo, sempre al Papiro. Anche per lui, nessuna causa apparente. Nessuna causa naturale perlomeno. Ma allora cosa uccide queste persone, sempre che di omicidio si possa parlare? Dejan e Vera cominciano a frequentarsi, inizialmente per chiarire alcuni punti investigativi. L’ispettore ha bisogno di molti particolari per cercare almeno alla lontana di raccapezzarsi in questo labirinto. Viene così a sapere qualcosa di più sulla libreria e su chi normalmente la frequenta: clienti normali e “pazienti” come li chiama Vera; clienti un po’ strani, diremmo noi, con qualche piccola mania o qualche rotella fuori posto, ma comunque gente innocua, che gironzola abitualmente per la libreria e che Vera ed Olga accettano ben volentieri. Niente insomma di così anomalo da poter giustificare quelle morti. Chi c’è dietro dunque? Forse il terrorismo che sta tentando di diffondere veleni altamente tossici sui libri? Armi chimiche?? Sembra di rivivere Il Nome della Rosa di Eco. La squadra dell’Antiterrorismo si mette all’opera, non prima di aver attentamente messo sotto intercettazione chiunque (polizia compresa), ma nemmeno loro sembrano trovare una strada plausibile, armi chimiche comprese, escluse all’istante. Un altro cadavere infittisce il mistero, quella di una donna questa volta.. una di quelle che Vera definisce “pazienti”. L’unica cosa che sembrerebbe collegarsi a queste morti è la presenza ormai certa dell’Ultimo Libro. Un libro con una potenza straordinaria che pare uccida chiunque lo legga. A raccontare, o meglio, a far trapelare questa teoria è però uno dei “pazienti” della libreria. Che fare? Credere ed indagare oppure lasciar perdere? Dejan decide di seguire questa unica pista visto che non ve ne sono altre percorribili….
Non vi voglio raccontare altro. C’è ben poco da raccontare in realtà arrivati a questo punto, se non la fine di questo giallo; la trama merita, è davvero intrigante, ma nulla più. Io sono rimasta davvero delusa dalla fine, dalle ultime pagine. Non ve lo consiglio onestamente. Credo che un giallo si componga di vari elementi: trama, originalità, colpi di scena, deviazioni, cambi repentini, spiazzamenti… c’è quasi tutto, quasi… manca un finale decente.

sabato 17 marzo 2012

La Ruota del Tempo - La Grande Caccia

inizio: 28 aprile 2011
fine: 14 marzo 2012

Ci ho messo molto, molto tempo per finire di leggere questo secondo volume della saga. Il problema non è il libro in sé, né le sue pagine, quanto le cose che sono intercorse in questo anno.. diciamo che la prima metà l’ho letta tra aprile e giugno 2011, la seconda metà da febbraio 2012 ad adesso.  Questo è uno di quei libri che fanno sognare, fanno evadere.. ma quando tornare alla realtà è un po’ troppo doloroso, allora i libri come questi si accantonano. Ed è quello che ho fatto io, l’ho accantonato, messo lì sul comodino per mesi, spolverandolo di tanto in tanto. E poi, finalmente, quando mi sono sentita meglio, ho ricominciato da dove lo avevo lasciato.
Non sto a dilungarmi nuovamente sulla meravigliosa scrittura di Jordan e non ringrazierò mai abbastanza Eleclyah per avermelo fatto conoscere… ma una cosina la vorrei riprecisare di nuovo: Jordan non è Tolkien, o meglio, Tolkien non è Jordan. Tolkien ha partorito il fantasy, è il papà biologico, Jordan lo ha cresciuto, è il papà effettivo. A chiunque abbia la netta sensazione, leggendo L’Occhio del Mondo, di stare rileggendo Il Signore degli Anelli, io dico: leggete La Grande Caccia e vi renderete conto che Jordan ha costruito qualcosa che Tolkien non ha nemmeno provato ad immaginare.
Piccolo flash sulla fine del primo libro della saga: Rand ha scoperto (e con lui anche Moiraine e gli altri) di poter incanalare Saidin (la metà della vera Fonte, la parte di Unico Potere maschile, che ha causato la pazzia di Kingslayer e la contaminazione di tutto Saidin). Rand è a tutti gli effetti un Aes Sedai maschio e davanti ha sé ha una triste possibilità: quello di essere domato da un’Aes Sedai donna, prima che diventi pazzo ed uccida tutti incanalando quantità sconsiderate di potere. Hanno scoperto perfino il tanto ambito Corno di Valere.
Ora tutti i ragazzi si trovano a Fal Dara, nello Sheinar. L’Amyrlin Seat però sembra essere a conoscenza del segreto di Rand e sembra volerlo proteggere in quanto Drago Rinato. Tale segreto è condiviso da sole tre Aes Sedai: Moiraine, Verin e la stessa Amyrlin Seat. Questa informazione, infatti, è estremamente pericolosa: se qualcuno la venisse a sapere Rand verrebbe immediatamente domato e ucciso, se poi venisse ad orecchio dell’Ajah Rossa o di quella Nera, la sua fine sarebbe anche peggiore. Rand vorrebbe però allontanarsi da tutto e da tutti, l’idea di fare del male a chi ama non è qualcosa che Rand Al’Thor possa sopportare. Moiraine però ha piani diversi.
Padain Fain è rinchiuso nelle prigioni, ma qualcuno è in agguato nell’ombra e l’Amico del Tenebroso viene liberato; con lui scompaiono il pugnale al quale è legata la vita di Mat e il Corno di Valere. L’esercito di Ingtar parte con Loial, Rand, Mat e Perrin all’inseguimento di Fain, mentre Nynaeve ed Egwene si dirigono insieme all’Amyrlin Seat a Tar Valon per essere addestrate. Le strade dei nostri amici si dividono e non sappiamo se e quando si ricongiungeranno. Inoltre le strade di Rand e gli altri si dividono ulteriormente: senza sapere come infatti, durante una notte, Rand attiva una Pietra Portale che trasporta lui, Hurin e Loial in un’altra dimensione (parallela a quella reale ma completamente diversa per qualche o molti particolari). Qui incontrano una figura strana e misteriosa, una ragazza di nome Selene, che riuscirà a guidarli attraverso questo mondo parallelo ed a farli tornare in quello reale. Ma una volta tornati in quello reale, di lei non si troverà più traccia. Rand nel frattempo, anticipando di molto Ingtar in marcia su Caihrien, ha recuperato Corno e Pugnale. Ha inoltre scoperto che il suo caro e vecchio amico Thom Merrilin non è morto. Tuttavia proprio quando oramai crede di avercela fatta, tutto riprecipita nel caos: il Corno ed il Pugnale vengono nuovamente rubati proprio in concomitanza con l’arrivo di Ingtar. Padain Fain ha portato le preziose reliquie a Capo Toman e lì aspetta che Rand arrivi. Parallelamente Egwene e Nynaeve vengono convinte da un’Aes Sedai (dalle frange rosse.. o forse addirittura nere) a partire in gran fretta da Tar Valon per ordine di Moiraine. Alle ragazze si aggiungono Elayne e Min. Attraverso le Vie, arrivano a Falme, ma quando si accorgono che tutto è un inganno oramai è troppo tardi: Min e Egwene vengono fatte prigioniere dai Seanchan e Nynaeve e Elayne riescono a salvarsi per miracolo; ovviamente Lindriain le ha tradite. Falme è in mano ai Seanchan, che si proclamano come i discendenti delle armate di Arthur Hawking e sono decisi a riprendersi tutti i territori. Sono guidati da una pressochè sconosciuta imperatrice e da un uomo chiamato Turak. Usano come schiave delle Aes Sedai che chiamano Damane (sono donne legate da un guinzaglio magico ad altre donne capaci, ma incoscienti, di incanalare, dalle quale non possono liberarsi). Inutile dire che fine abbia fatto Egwene. Ma un colpo di scena sconvolge il finale di questo libro: Rand guida tutti a Capo Toman.. utilizzando la Pietra Portale e lì, si accorge di Egwene, che non è a Tar Valon come lui crede, ma è ridotta in schiavitù ed in pericolo..
Le ultime pagine sono carichissime di suspence e quindi mi fermo qui. Leggetelo tutto d’un fiato… anche perché non potrete farne a meno.

giovedì 8 marzo 2012

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

Inizio: 05 marzo 2012
Fine: 08 marzo 2012

Chi lo ha letto lo ha definito spassosissimo. Perfino il curatore Terry Pratchett lo definisce uno dei libri più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni, ironizzando sull’ambientazione del romanzo.. tuttavia lo definirei spassoso, leggero, ma non così divertente come dicono. Sicuramente c’è da considerare che è stato scritto nel 1960, quindi, in quegli anni, forse, l’umorismo era diverso. La storia di apre appunto nel Pleistocene e ci troviamo davanti alla tipica famiglia ominide in evoluzione. La cosa che caratterizza tutto il libro (e credo che dovrebbe essere questo il fulcro della sua capacità di divertire) è che tutti sembrano avere perfettamente conoscenza della storia fino a quella contemporanea e quindi padroneggiano perfettamente tutta la scala evolutiva, i vari step di progresso e perfino il linguaggio consono relativo a scoperte mediche e genetiche. Insomma conoscono tutto e sanno che sono molto molto lontani da quella perfezione che vogliono a tutti costi contribuire a raggiungere. Personaggio principale è Edward, capofamiglia creativo e generoso, che ogni giorno sprona i figli a contribuire al cammino evolutivo. I figli, Ernest, Oswald, Wilburn, William ed Alexander, ognuno esperto in qualcosa di diverso, sia affaccendano ogni giorno con la madre Millicent e le sorelle per sopravvivere in un mondo dove il predatore per eccellenza è la tigre dai denti a sciabola e, dove, se va bene, gli ominidi possono cibarsi dei suoi scarti. Ma un giorno Edward scopre il fuoco e con questo la sua capacità di dominare gli altri animali, o quantomeno di tenerli lontani. Grande antagonista del libro è lo zio Vania (Cechov???) che si ostina a vivere sulle piante e non fa altro che rimproverare Edward per la sua fame di evoluzione e di scoperte, che critica aspramente (pur utilizzandole). Potremmo definirlo un conservatore della natura. Altra figura interessante è quella dello zio Ian, viaggiatore incallito, che scompare per anni in giro per il mondo, salvo poi fare sempre ritorno in Uganda sano e salvo dalla moglie che perennemente lo attende. Interessanti sono i suoi racconti del resto del mondo dove si possono apprezzare rimandi alle situazioni politico sociali contemporanee (nel ’60) ed anche alcuni riferimenti culturali (“le terre dove scorrono fiumi di latte e miele” è sicuramente un rimando alla terra paradisiaca descritta nel Corano). Ovviamente Ian è l’opposto di Vania; Edward sta nel mezzo. La storia della famiglia si dipana in piccoli progressi (sempre osteggiati da zio Vania): prima il fuoco, poi il dominio del fuoco, poi il miglioramento delle armi, poi l’esogamia (per non creare tare accoppiandosi tra consanguinei), poi la creazione ed il mantenimento di un’orda sempre più grande ed infine il baratto…

Quello che colpisce di più è sicuramente quello che di questo libro si può leggere tra le righe: qual è il limite del progresso? Se la libertà mia finisce quando si scontra con la tua, allora il progresso dovrebbe progredire fino a quando non si scontra con la natura. Ma natura e progresso tendenzialmente hanno strade molto diverse e spesso la distruzione della prima è elemento fondamentale per il secondo, salvo poi che la prima si riprende (di solito in modo violento) ciò che il primo ha sottratto. Allora forse zio Vania ha ragione a non voler evolvere, d’altro canto Edward rappresenta la sete di conoscenza, i suoi figli la sete di possesso e di benessere…

Ripeto il libro non è poi così divertente, ma ci si potrebbero fare sopra innumerevoli riflessioni, perciò, andata, via, ve lo consiglio :)

mercoledì 7 marzo 2012

1984

Inizio: 26 giugno 2011
Fine: 07 marzo 2012


Se dicessi che ho capito questo libro, esagererei; se dicessi che mi è piaciuto mentirei. Eppure qualche cosa, qualche piccolissima cosa, mi ha lasciato. Già solo le date di inizio e fine la dicono lunga sulla mia svogliatezza nel girare queste pagine, ma quando mi impongo di leggere un libro, normalmente, che mi piaccia o no, mi impongo anche di terminarlo. Stavolta è stata davvero dura ed a un certo punto ho detto “ok, ti lascio un po’ sul comodino”. Le ultime cento pagine le ho lette negli ultimi 4 giorni; a saperlo prima, finivo mesi fa. Di fatto c’è che mi ha annoiato e molto. Non ho mai amato Orwell come autore… ma per averne consapevolezza dovevo leggere qualcosa di suo, partendo dalla “Fattoria degli animali” ed arrivando al tanto conclamato 1984. Che noia! E che angoscia! So che un libro ha la metà del suo contenuto legato al contesto e sicuramente estrapolarlo non è mai una buona idea, però, sinceramente, è un libro di un sadico. Ne ho letti di libri di torture e massacri, di stragi e di terrorismo n’è colma l’Europa come l’America Latina, l’Africa come l’Asia. Ma c’è una grossa differenza tra queste storie vere e il libro di Orwell: il sadismo. Questo libro emana una cattiveria infinita e sembra quasi che l’idea che si trasmette sia quella di esaltare tutto questo, invece che deplorarlo. Non è per la fine, ci sta anche un po’ di realismo: quando mai vedete il bene trionfare sul male? Mai. Il realismo ci sta. Ma tutto questo sadismo meno. Le prime cento pagine sono state un’agonia, una lunghissima agonia girata intorno a Winston Smith, unico (o quasi) protagonista del libro, se escludiamo il Grande Fratello. Il mondo di Winston è un mondo diviso in tre parti, in guerra tra loro: Estasia Eurasia ed Oceania, patria di Smith. In Oceania esiste il Partito e l’occhio del Grande Fratello che guarda tutto e tutti sempre, 24h su 24. Guai a discostarsi da quello che secondo il partito è vero e giusto! La Psicopolizia (che ricorda molto le Squadre della Morte argentine) entra in azione. Ma come si fa a credere in qualcosa che ogni cinque minuti viene adattato e cambiato a seconda della esigenza? Nel mondo dell’Oceania non esiste il passato: questo infatti viene riscritto ogni giorno, è in continuo mutamento ed in continuo adattamento… ma sempre in linea con il partito. Il Partito è l’unica certezza. Nel mondo di Winston non c’è spazio per nulla, le giornate sono rigidamente scandite,  ben regolamentate e regolate; con un occhio sempre puntato addosso non è facile scappare da questa regolarità che, se infranta, porta alla morte. O almeno per una parte della popolazione; per il 90% di essa, invece, la Psicopolizia non esiste nemmeno. Sono i prolet, il gradino più basso, l’incarnazione della degradazione e dell’ignoranza, personificazione dell’inutilità. Capisco il pessimismo di quegli anni, ma questo mondo, ribadisco, è proprio eccessivamente sadico. Senza contare che in tutto il libro i discorsi filosofeggianti di Orwell non fanno una piega, se si segue il suo filo, ma c’è una pecca: dov’è il bandolo della matassa? Dove è cominciato il filo logico? A metà del libro c’è una lunga lettura di Winston, il quale viene in possesso di un libro pericolosissimo, di quella che potremmo chiamare la resistenza, un libro nel quale si smaschera in Grande Fratello per quello che è; in questa parte l’autore regala perle di saggezza sull’evoluzione delle masse, sul progresso, sui cicli storici, arrivando poi a dimostrare come sia possibile che il regno della dittatura Oceanica non finisca mai… si ma senza contare quel gradino iniziale che spieghi come tutto quello che Winston vive sia stato realizzabile che è molto diverso dal dimostrare come in realtà possa sopravvivere a tutto. Non credo nell’assoluta imbecillità dell’intera umanità nello stesso momento; disgraziatamente al mondo esistono le dittature e grazie a Dio finiscono, che mietono un’infinità di vite e costano molti sacrifici che si ripercuotono sulle generazioni successive. La gente (tutta) però, ad un certo punto, desidera la pace talmente tanto che è in grado di ripristinarsela a forza. E la gente scontenta è sempre di più, rispetto a quella contenta. Variabile non indifferente.

Senza questionare oltre sulle teorie di Orwell, vi dirò che a un certo punto Winston viene scoperto, viene accusato di essere contro al Partito e viene catturato. Essere catturati dalla Psicopolizia significa due cose: essere torturati e morire, perché il ribelle va prima distrutto, poi ricostruito ed infine eliminato. Questa sarà la sorte che attende il nostro protagonista, insieme al quale vivremo l’angoscia del torturato, la paura e la sofferenza, l’egoismo di chi per amore della propria vita è disposto a sacrificare il mondo intero. Mors tua vita mea. Indubbiamente c’è poco da giudicare in questo atteggiamento.

Non è un libro che consiglierei, però forse leggendolo vi rimarrà qualcosa, qualcosa che non saprete cos’è né come chiamare ma pur sempre qualcosa. Alla fine l’importante, per un libro, è lasciare la traccia dentro di noi.


domenica 4 marzo 2012

Percy Jackosn e gli Dei dell'Olimpo, La battaglia del Labirinto

Inizio: 28 febbraio 2012
Fine: 02 marzo 2012

Continua la saga del Mezzosangue Percy e si ricomincia sempre con l'inizio di un nuovo anno scolastico, che, come quelli passati, non promette nulla di buono. Il nostro eroe infatti non è nuovo a situazioni spiacevoli che lo vedono suo malgrado coinvolto nelle varie scuole che tenta di frequentare. Anche quest'anno l'inizio è col botto e Percy si ritrova fuggiasco già dopo le prime pagine, in compagnia di una vecchia amica, la mortale Rachel. Come sempre Percy fa ritorno al campo dove ad accoglierlo ci sono gli amici di sempre ed anche qualcuno di nuovo come il professor Quintus. Percy ricorda gli avvenimenti dell'estate prima,  l'incontro con i fratelli Di Angelo, la battaglia con Luke, Atlante e le sue figlie, la ricerca di Artemide... Annabeth come sempre è al suo fianco, come il suo fratellastro; Grover purtroppo è invece alle prese con il Grande Consiglio dei Satiri che, a causa della sua inefficienza, vuole sollevarlo dall'incarico di cercatore (di Pan). Insomma un altro anno cominciato bene. Crono sta riacuqistando sempre pù forza e Percy ha degli strani sogni che gli lasciano vedere cosa accade; inoltre dal mondo degli Inferi qualcuno sembra chiedere aiuto per Nico, scomparso l'anno prima e ricomparso nel regno di Ade. Luke sta tentando di invadere il campo passando dal Labirinto di Dedalo; il lbirinto ha migliaia di passaggi segreti e sis estende sotto tutta la crosta terrestre (in continua espansione). Bisogna intercettare Dedalo, creatore del Labirinto e convincerlo a non aiutare Luke. Questa volta l'impresa dell'anno viene affidata alla bella Annabeth che insieme ai soliti tre amici affronta con coraggio. ma allo stesso tempo paura, la missione. Il labirinto si presenta gi da subito come un luogo inquietante, pieno di trappole ed insidie le loro strade si divdono: Annabeth e Percy da un lato, Tyson e Grover dall'altro (il Satiro infatti è convinto di aver sentito la presenza di Pan). Annabeth e Percy intento riescono a rintracciare la fucina di Efesto, l'unico che possa condurli da Dedalo. Ma da qui in poi le cose si complicano maggiormente; Luke sta facendo grandi progressi nell'organizzarsi per invadere il campo e Percy finisce per errore.. sull'isola di Calypso. Tutti lo credono morto, ma Efesto riuscirà a ricondurlo al campo. I nostri eroi ripartono, questa volta con Rachel, la quale sembra poter vedere quale sia la giusta strada per arrivare al laboratorio di Dedalo. Nel frattempo si è persa ogni traccia di Tyson e Grover. Di nuovo nel labirinto, questa volta Percy si imbatte proprio in Crono, oeramai risorto nel corpo di Luke e dal quale riesce a fuggire per miracolo.
Non vi dico racconto altro anche perchè vi rovinerei il finale di questo libro, sicuramente carino come gli altri che lo hanno preceduto. Preparatevi a sorprese a non finire... ed alla battaglia finale, o per lo meno, il prologo della grande battaglia... che oramai è imminente.