Fine: 14 gennaio 2015
Recensire
Anna Marchesini è mettere bocca su un mostro
sacro. Quel che vorrei fosse chiaro senza troppi giri di parole è che
questo libro… non è semplicissimo. Non che non sia alla portata di tutti, ma va
capito. Va capita la donna dietro il libro e, a tratti, anche questo sembra non
bastare. Ho letto questo libro due mesi fa ed ho atteso molto per scriverne. Va
digerito. Diversamente non se ne può parlare. Nonostante si proponga come un
libro a forte carica umoristica, questi racconti nascondono una vena emotiva,
quasi triste, un’introspezione paurosa, una connotazione umana a dir poco
eccezionale ed una consapevolezza della vita che fa quasi timore. Anna ha messo
in parole la vita stessa, con la sua carica di ironia, il suo fare secco e
stizzito, il ciondolio della testa (che non si vede ma si immagina) e fiumi di
parole. Già, le parole. Tante, tantissime, una dietro l’altra senza una virgola. Letteralmente. Tanto che
ci ho messo non poco ad abituarmi all’andamento della lettura; la punteggiatura
è la pausa degli occhi, della mente, del senso … Anna non ne mette, mette
elenchi di parole a profusione, come acqua che abbia sfondato una diga. Giù,
dritta a valle. Non sono necessariamente climax, sono spesso accostamenti,
sinonimi, che compongono una varietà lessicale amplissima. Solo Piperno mi
aveva messo così in difficoltà. Fanno ridere questi racconti? Onestamente, non
tutti. Alcuni sono molto forti emotivamente, trattano temi troppo importanti,
indagano troppo le fragilità per poterli definire divertenti. Sono commoventi,
toccanti. E gli altri? Bè.. Dipende da cosa intendete. Alcuni si, fanno ridere,
ma vi dovete immaginare lei, seduta su una sedia, a teatro, che ve li racconta.
Con i suoi capelli arruffati, i suoi occhiali volutamente bassissimi sul naso e
quella vocina che sale sale sale. Non leggete questi racconti se non conoscete
Anna Marchesini. Piuttosto guardatevi un suo video prima. Mi rifiuto di
recensire questi racconti… perché non è la storia in sé che colpisce, mail modo
in cui lei la racconta. Affinché, però, possiate avere un’idea sul filo
conduttore che li lega, vi dirò qualche parola di ognuno e cercherò di farlo…
nello stile di Anna.
La
signorina Iovis –
come si fa, come si fa dico io, a lasciar perdere l’amore? Anche se la campana
suona in là con gli anni, come non rispondere? Ed eccola lì, la signorina Iovis,
seduta al suo sportello alla posta, fissata da quel bell’uomo lì. Adolfo
Perres, maestro di scuola, aveva sgomitato (ma educatamente) per farsi strada
nella vita della signorina Iovis. E venne il dì della festa…
Lisetta – non è che alla gente piaccia star
sola.. ma non è nemmeno che ci si possa accompagnare a chiunque. L’amore non si
comanda e spesso basta una volta, quella buona,
a distruggerci. E allora ecco, stare soli diventa l’abitudine, diventiamo come
vecchie querce, sedute, con l’edera avviluppata, un po’ come impedimento un po’
come scusa. Quand’ecco che qualcuno ci smuove, ci muove e rimuove dal nostro
fossilizzato trono di legno. Ci sono persone che guardano alla vita con diversi
atteggiamenti e ci sono persone che hanno lo stesso atteggiamento e guardano
più vite possibili, quasi mettendole a confronto… (questo è il racconto più toccante
e commovente)
L’odore
del caffè – eccoli lì,
gli Svizzeri di via del Corso. Proprio loro, quelli che ti macinavano il caffè
davanti, in negozio. Ma il mercoledì era il giorno sacro della tostatura del
caffè: misterioso procedimento nascosto nel retrobottega, al quale nessuno era
ammesso. E tutto l’aroma si spandeva come un nuvolone carico di pioggia: greve,
pesante, denso, invadente.. inebriante “ed
era subito l’Avana era viva Zapata era la Rivoluzione era la Repubblica di
zucchero e cannella”(pag. 72).
La
torta nuziale –
troneggiava bianca, candida, eterea, eburnea. Torreggiava nell’angolo della
cucina, lei, la grande casta protagonista, lei, l’ultima ad entrare per la gioia
di tutti. Quella che nessuno avrebbe mai osato rifiutare, anche se non ci sta
più niente, anche se “no grazie, basta così”, anche se si son fatti incartare
gli avanzi, anche se. “Quei cinque piani
di panna soffice, un grattacielo tirato su con il latte di capra, di capra si
erano raccomandati, senza neanche sapere se si potesse fare o se invece si
trattasse di una di quelle inqualificabili castronerie eccentriche ed
irresponsabili tipiche dei committenti urbani, dunque ignoranti circa i
procedimenti della produzione artigianale”. Bianca che più bianca non si può..
o forse non proprio, non sarà mica una mosca quella?!
Poi
si vedrà – mi sposo
o non mi sposo? Che faccio Flora? E lei, ingrata, questa volta, il becco non ce
lo vuole mettere; ma come si fa ad abbandonare così una sorella che tutto nella
vita ha fatto, tranne vivere. Flora ha sempre preso le decisioni per Nelda ed ora,
niente, eccola lì la poverina, in abito da sposa, prima di andare all’altare
supplichevole, desiderosa come sempre dell’aiuto che Flora ha sempre elargito generosamente.
Insomma, suvvia, una parolina, chessssaràmmai! Un si o un no, non così
difficile, mal che ti vada Flora potresti anche scegliere a caso, basta che le
dici che cosa deve fare…
Le
evidenze – Maria Luce
Colli, pregiatissima e stimatissima
professoressa di matematica. Bella, bellissima. Donna contenuta con un
passato non facile, la professoressa Maria Luce se n’era andata via dalla sua Basilicata
ed era giunta in terra veneziana con il piccolo Emanuele. La disonorata in casa
sua, timoratissima e rispettabilissima in terra lagunare, lavora sodo; l’unico
su interesse è il figlio, giornate scandite, mai uno sgarro, sola soletta se
non per l’amato pargolo. S’accontentava d’esser trasparente, anche se insomma,
non le riusciva poi così bene. Ma quando Emanuele s’ammala agli occhi, Maria Luce
esce drasticamente dalla sua felice monotonia…
Il
salotto – Madame Isidori
è rientrata dalla sua residenza parigina da un paio di giorni e già teme per la
sua pelle. “Sono molto cattive quest’anno
le zanzare?”. La povera vedova veniva costantemente fatta bersaglio da
quelle odiose alate bestiacce. La cara donna aveva il sangue dolce e le orride
belve lo sapevano, di grazia che tortura! Ma Madame Isidori impavida non
rinuncia al suo salotto nemmeno in piena estate, troppo importanti i suoi
illustri ospiti, o forse no, ma va bè, l’importante è la mondanità. Che se ne
parli che se ne parli! Della sua fastosità, degli stuzzichini e dei discorsi,
che donna intelligente! Che donna generosa! Che donna amabile!! Peccato sia
costantemente bersagliata da quelle inutili, maledette zanzare…
In
punto di morte –
finale già scritto, nessuno scampo. Che senso ha chiedere come andiamo oggi? Se
siamo qui andiamo, quindi bene, ma tanto non si ha scampo quindi.. un’ora in
meno. Ma il nipote dell’onorevole Casimiro Mei proprio non la smetteva di
ripetere quella cavolo di frase ogni volta, benedetto ragazzo. Un po’ s’assopiva
un po’ aveva imparato a dilatare il tempo: perché un’ora è solo un’ora se la
vedi così, ma se cambi punto di vista sono 60 minuti, che per 60 secondi a
minuto fanno 3600 secondi, che insomma, son di più. Questione di punti di
vista. Come quella carezza appena percepibile, appena accennata, quel saluto da
parte del portiere: oh che gioia, Casimiro si rallegra, pieno di riconoscenza e
stupore.
Cirino
e Marilda non si può fare
– due stelle superior Pensione Smeraldo. Eccolo lì, Cirino Pascarella,
disoccupato ormai da tempo, ha dovuto vender la sua casa ed ora vive lì all’ultimo
piano del palazzo. Che vita triste, povero professore. La signora Olimpia,
tenutaria, non lo lascia in pace, tanta è la voglia sua di maritare la figlia Marilda:
“tanto caruccia a modino faticatrice tanto brava servizievole obbediente pulita
ordinata donna di casa precisina taciturna!”. Da chi abbia preso non si sa. Ma Cirino
Pescarella è perso nei suoi pensieri, tristi, lontani, nemmeno la sente
Olimpia, nemmeno la vede Marilda…
Non voglio aggiungere altro. Credo
che valga la pena di leggerli, anche se non sarà proprio una lettura facile;
vale la pena sentire cos’ha da dire questa donna sulla vita e i suoi stereotipi,
sulle paure che ognuno di noi ha o pensa di avere e su quelle che crediamo di
non avere. Una grande lezione, grazie Anna.