giovedì 30 aprile 2015

Moscerine

Inizio: 7 gennaio 2015
Fine: 14 gennaio 2015
Recensire Anna Marchesini è mettere bocca su un mostro sacro. Quel che vorrei fosse chiaro senza troppi giri di parole è che questo libro… non è semplicissimo. Non che non sia alla portata di tutti, ma va capito. Va capita la donna dietro il libro e, a tratti, anche questo sembra non bastare. Ho letto questo libro due mesi fa ed ho atteso molto per scriverne. Va digerito. Diversamente non se ne può parlare. Nonostante si proponga come un libro a forte carica umoristica, questi racconti nascondono una vena emotiva, quasi triste, un’introspezione paurosa, una connotazione umana a dir poco eccezionale ed una consapevolezza della vita che fa quasi timore. Anna ha messo in parole la vita stessa, con la sua carica di ironia, il suo fare secco e stizzito, il ciondolio della testa (che non si vede ma si immagina) e fiumi di parole. Già, le parole. Tante, tantissime, una dietro l’altra senza una virgola. Letteralmente. Tanto che ci ho messo non poco ad abituarmi all’andamento della lettura; la punteggiatura è la pausa degli occhi, della mente, del senso … Anna non ne mette, mette elenchi di parole a profusione, come acqua che abbia sfondato una diga. Giù, dritta a valle. Non sono necessariamente climax, sono spesso accostamenti, sinonimi, che compongono una varietà lessicale amplissima. Solo Piperno mi aveva messo così in difficoltà. Fanno ridere questi racconti? Onestamente, non tutti. Alcuni sono molto forti emotivamente, trattano temi troppo importanti, indagano troppo le fragilità per poterli definire divertenti. Sono commoventi, toccanti. E gli altri? Bè.. Dipende da cosa intendete. Alcuni si, fanno ridere, ma vi dovete immaginare lei, seduta su una sedia, a teatro, che ve li racconta. Con i suoi capelli arruffati, i suoi occhiali volutamente bassissimi sul naso e quella vocina che sale sale sale. Non leggete questi racconti se non conoscete Anna Marchesini. Piuttosto guardatevi un suo video prima. Mi rifiuto di recensire questi racconti… perché non è la storia in sé che colpisce, mail modo in cui lei la racconta. Affinché, però, possiate avere un’idea sul filo conduttore che li lega, vi dirò qualche parola di ognuno e cercherò di farlo… nello stile di Anna.

La signorina Iovis – come si fa, come si fa dico io, a lasciar perdere l’amore? Anche se la campana suona in là con gli anni, come non rispondere? Ed eccola lì, la signorina Iovis, seduta al suo sportello alla posta, fissata da quel bell’uomo lì. Adolfo Perres, maestro di scuola, aveva sgomitato (ma educatamente) per farsi strada nella vita della signorina Iovis. E venne il dì della festa…

Lisetta – non è che alla gente piaccia star sola.. ma non è nemmeno che ci si possa accompagnare a chiunque. L’amore non si comanda e spesso basta una volta, quella buona, a distruggerci. E allora ecco, stare soli diventa l’abitudine, diventiamo come vecchie querce, sedute, con l’edera avviluppata, un po’ come impedimento un po’ come scusa. Quand’ecco che qualcuno ci smuove, ci muove e rimuove dal nostro fossilizzato trono di legno. Ci sono persone che guardano alla vita con diversi atteggiamenti e ci sono persone che hanno lo stesso atteggiamento e guardano più vite possibili, quasi mettendole a confronto… (questo è il racconto più toccante e commovente)

L’odore del caffè – eccoli lì, gli Svizzeri di via del Corso. Proprio loro, quelli che ti macinavano il caffè davanti, in negozio. Ma il mercoledì era il giorno sacro della tostatura del caffè: misterioso procedimento nascosto nel retrobottega, al quale nessuno era ammesso. E tutto l’aroma si spandeva come un nuvolone carico di pioggia: greve, pesante, denso, invadente.. inebriante “ed era subito l’Avana era viva Zapata era la Rivoluzione era la Repubblica di zucchero e cannella”(pag. 72).

La torta nuziale – troneggiava bianca, candida, eterea, eburnea. Torreggiava nell’angolo della cucina, lei, la grande casta protagonista, lei, l’ultima ad entrare per la gioia di tutti. Quella che nessuno avrebbe mai osato rifiutare, anche se non ci sta più niente, anche se “no grazie, basta così”, anche se si son fatti incartare gli avanzi, anche se. “Quei cinque piani di panna soffice, un grattacielo tirato su con il latte di capra, di capra si erano raccomandati, senza neanche sapere se si potesse fare o se invece si trattasse di una di quelle inqualificabili castronerie eccentriche ed irresponsabili tipiche dei committenti urbani, dunque ignoranti circa i procedimenti della produzione artigianale”. Bianca che più bianca non si può.. o forse non proprio, non sarà mica una mosca quella?!

Poi si vedrà – mi sposo o non mi sposo? Che faccio Flora? E lei, ingrata, questa volta, il becco non ce lo vuole mettere; ma come si fa ad abbandonare così una sorella che tutto nella vita ha fatto, tranne vivere. Flora ha sempre preso le decisioni per Nelda ed ora, niente, eccola lì la poverina, in abito da sposa, prima di andare all’altare supplichevole, desiderosa come sempre dell’aiuto che Flora ha sempre elargito generosamente. Insomma, suvvia, una parolina, chessssaràmmai! Un si o un no, non così difficile, mal che ti vada Flora potresti anche scegliere a caso, basta che le dici che cosa deve fare…

Le evidenze – Maria Luce Colli, pregiatissima e stimatissima professoressa di matematica. Bella, bellissima. Donna contenuta con un passato non facile, la professoressa Maria Luce se n’era andata via dalla sua Basilicata ed era giunta in terra veneziana con il piccolo Emanuele. La disonorata in casa sua, timoratissima e rispettabilissima in terra lagunare, lavora sodo; l’unico su interesse è il figlio, giornate scandite, mai uno sgarro, sola soletta se non per l’amato pargolo. S’accontentava d’esser trasparente, anche se insomma, non le riusciva poi così bene. Ma quando Emanuele s’ammala agli occhi, Maria Luce esce drasticamente dalla sua felice monotonia…

Il salotto – Madame Isidori è rientrata dalla sua residenza parigina da un paio di giorni e già teme per la sua pelle. “Sono molto cattive quest’anno le zanzare?”. La povera vedova veniva costantemente fatta bersaglio da quelle odiose alate bestiacce. La cara donna aveva il sangue dolce e le orride belve lo sapevano, di grazia che tortura! Ma Madame Isidori impavida non rinuncia al suo salotto nemmeno in piena estate, troppo importanti i suoi illustri ospiti, o forse no, ma va bè, l’importante è la mondanità. Che se ne parli che se ne parli! Della sua fastosità, degli stuzzichini e dei discorsi, che donna intelligente! Che donna generosa! Che donna amabile!! Peccato sia costantemente bersagliata da quelle inutili, maledette zanzare…

In punto di morte – finale già scritto, nessuno scampo. Che senso ha chiedere come andiamo oggi? Se siamo qui andiamo, quindi bene, ma tanto non si ha scampo quindi.. un’ora in meno. Ma il nipote dell’onorevole Casimiro Mei proprio non la smetteva di ripetere quella cavolo di frase ogni volta, benedetto ragazzo. Un po’ s’assopiva un po’ aveva imparato a dilatare il tempo: perché un’ora è solo un’ora se la vedi così, ma se cambi punto di vista sono 60 minuti, che per 60 secondi a minuto fanno 3600 secondi, che insomma, son di più. Questione di punti di vista. Come quella carezza appena percepibile, appena accennata, quel saluto da parte del portiere: oh che gioia, Casimiro si rallegra, pieno di riconoscenza e stupore.

Cirino e Marilda non si può fare – due stelle superior Pensione Smeraldo. Eccolo lì, Cirino Pascarella, disoccupato ormai da tempo, ha dovuto vender la sua casa ed ora vive lì all’ultimo piano del palazzo. Che vita triste, povero professore. La signora Olimpia, tenutaria, non lo lascia in pace, tanta è la voglia sua di maritare la figlia Marilda: “tanto caruccia a modino faticatrice tanto brava servizievole obbediente pulita ordinata donna di casa precisina taciturna!”. Da chi abbia preso non si sa. Ma Cirino Pescarella è perso nei suoi pensieri, tristi, lontani, nemmeno la sente Olimpia, nemmeno la vede Marilda…

 

Non voglio aggiungere altro. Credo che valga la pena di leggerli, anche se non sarà proprio una lettura facile; vale la pena sentire cos’ha da dire questa donna sulla vita e i suoi stereotipi, sulle paure che ognuno di noi ha o pensa di avere e su quelle che crediamo di non avere. Una grande lezione, grazie Anna.

Missing. New York

Inizio: 27 aprile 2015
Fine: 29 aprile 2015

Mi devo abituare a questo suo modo di scrivere. O meglio, dovrei capire se effettivamente scrive sempre così, come se parlasse. Perché ad essere onesti fino in fondo, dopo un po’, da noia. Non che io pretenda strutture iper
complesse alla Eco (che Dio me ne scampi), ma nemmeno periodi di dieci paroline scarse. Sicuramente fa personaggio: secco, che sa cosa deve dire e come lo deve dire, “sono Decker, Frank Decker, ritrovo persone scomparse”, però dai Don… non ti facevo così stringato e succinto. Perplessità. Ma, forse, avrei dovuto cominciare dall’opera maxima di Winslow, Il potere del cane, che sonnecchia beatamente sulla mia libreria tra Inshallah e Moshi Moshi. Libro che ha sempre attirato la mia attenzione e che ho sempre atteso, rimandato, guardato molto prima di comprare. Così, visto che non ero in vena di mattoncini, ho preferito iniziare da questo, che è circa la metà. Giusto per farmi un’idea di come scrive… poi vi dirò se ho fatto bene.
Giorni nostri. Nebraska, Lincoln. Nel quartiere di South Bottoms, la giovane madre single Charyl Hansen ha dato l’allarme: sua figlia Hailey, di cinque anni, è scomparsa nel nulla, volatilizzata, da poco più di venti minuti. L’aveva lasciata fuori a giocare con il suo cavallo pezzato di plastica, Magic; il tempo di entrare in casa, uscirne e di Hailey non c’è più traccia. Per quanto pochi possano sembrare, venti minuti sono già un mucchio di tempo, quando a sparire è un bambino così piccolo. La prima ora è cruciale. Le successive due sono decisive. Frank Decker lo sa bene. Esattamente come sa che il primo posto dove indagare è la casa della vittima e la prima persona della quale sospettare è la madre. Ma come si fa se la madre è pulita ed il padre è morto sepolto? Si mette in moto una macchina da milioni di dollari e tutta l’intelligence possibile per dare il prima possibile un’informazione concreta su dove possa essere la bambina. Decker sa che la collaborazione è fondamentale, di tutti, per tutti. Inutile tentare gare idiote tra colleghi, tra federali e poliziotti, tra risorse diverse, quando lì fuori c’è una bambina che molti considerano già un cadavere da cercare. Eppure, dopo tre settimane di incessante lavoro e straordinari ordinari, della piccola Hailey nessuna traccia. Sparita nel nulla. Esattamente come sta accadendo a Brittany Morgan, che di anni ne ha otto e non è rientrata a casa dopo la scuola. Due isolati. Due soli isolati per svanire. Ed è un deja-vu. Questa volta però un sospettato sembra esserci equando purtroppo viene rinvenuto il cadavere della piccola Brittany, il sequestro diventa omicidio. Mentre tutta la città è convinta che Gains sia colpevole anche del sequestro (e dell’omicidio) di Hailey e mentre lui non fa assolutamente nulla per scagionarsi, Decker ha qualche dubbio. Nessuno sa cosa avesse in mano Hailey quel giorno, nessuno ha mai diffuso questo particolare: solo la polizia, la madre e il rapitore lo sanno.
Una Barbie. Nera – disse Gains. Risposta sbagliata.
 
Abbandonato distintivo, lavoro e moglie, Frank decide di battere in solitaria tutte le teorie alternative a Gains, tutto il resto, ciò che non è stato considerato  nel caso Hansen. Non sa realmente se cercarla viva o cercare un cadavere, ma deve trovarla, lo ha promesso a Charyl; che sia un abbraccio ad una bambina finalmente salva, o un volto rigato di lacrime in un obitorio, la storia d Hailey Hansen avrà una fine. Ma sa, che par fare il lavoro che si è prospettato, dovrà agire da solo, da civile e non da poliziotto. È per questo che si è dimesso. Comincia così una corsa a tratti lenta a tratti più rapidi, su e giù per gli Stati Uniti, dormendo nei motel, poco e male, connettendosi ai siti peggiori, considerando ogni pista, ogni avvistamento, ogni dannata telefonata. Ed il suo duro lavoro lo porta nello stato di New York, a parlare con una donna, Evelyn Jenkins, che sembra avere riconosciuto Hailey. È passato molto tempo, un anno buono, eppure quell’arzilla signora ricorda la bambina dai grossi occhi verdi uscire dal bagno di una stazione di servizio non molto distante da Jamestown. Sembrava sul punto di dire qualcosa, puntava insistentemente quei suoi meravigliosi occhioni sulla signora. In mano stringeva un cavallo, di plastica, pezzato…
Ricerche, appostamenti, qualche minaccia, ricomincia il duro lavoro del poliziotto da strada, a metà tra uno di cui puoi fidarti e uno dal quale guardarti. La sua caparbietà lo conduce passo dopo passo sempre più vicino ad Hailey, talmente vicino da farsi sentire. Ma non abbastanza. Ed eccolo lì, Frank, a frugare negli angoli di Jamestown e poi di New York, spingendosi negli Hamptons, inseguendo Clay Welles ma soprattutto Shea… perché forse lei è la chiave di tutto, una sorta di futuro anteriore, una lente attraverso la quale guardare ad Hailey…
 
Frank, mi piace, decisamente. Senza nulla togliere al genio di Jo Nesbo, capace di trame intricatissime ed avvincenti, non amo molto Harry Hole. Non tanto per la figura di emarginato (abbastanza costruita) ma perché non amo gli sgarbati, né tanto meno quelli ai quali non va bene mai nulla, che sanno tutto loro e che comunque fanno sempre meglio degli altri per principio. La qual cosa ovviamente, nel caso Hole, è chiaramente così: il detective assolutamente discutibile ed odioso che però risolve qualsiasi caso, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, fan***o il mondo, tanto Hole è il migliore. Ecco, Decker non è così ( e meno male!): è gentile, educato e collabora con tutti, fa il suo lavoro e lasciare fare agli altri il loro, spicca in una squadra che comunque lavora assieme. Alla fine hanno tutti lo stesso obbiettivo. Non c’è rivalità intrinseca. Passa un’idea diversa, che rispetto a quella emanata dal personaggio di Hole, decisamente mi piace di più. Frank ha trentaquattro anni e glieli dai, Hole ne ha circa trentacinque e pensi, leggendo, che ne abbia almeno cinquanta. E poi c’è Laura, la moglie in carriera e scontenta di questo marito che, per lei, non ha ambizioni e sembra avere paura di migliorare il suo status. La dinamica del matrimonio non è mai semplice, ma ovviamente al suo interno si intrecciano dinamiche diverse: uomo-donna, lavoro-reddito, il genere di professione svolta, l’ambizione sociale, la dinamica dei ruoli, etc. Trovo interessante l’inserimento di questa donna, che sembra esserci anche quando non c’è e da al protagonista una dimensione realmente umana.
Insomma, per concludere: non sapevo bene bene cosa aspettarmi e sono stata davvero colpita. Don Winslow mi ha sorpreso. Sono sicura che ora leggerò, con più tranquillità, Il potere del cane!

lunedì 27 aprile 2015

Andromeda Heights (Il Regno #1)

Inizio: 14 aprile 2015
Fine: 16 aprile 2015



Avrei avuto bisogno di ritrovare la solita Yoshimoto, semplicemente questo. Quando attraverso momenti particolarmente difficili emotivamente mi rifugio nelle sue parole. Non mi fa sentire meglio, mi distrae dolcemente, come il rollio di una nave. Stavolta, però, Banana non c’era. Sembra perfino di aver trovato la brutta copia della Divakaruni (e questo mi piace poco). Non voglio tarpare le ali alla quadrilogia de “Il Regno”, ma insomma, l’attacco, Andromeda Heights, non rende la migliore Yoshimoto. Il rapporto di Shizukuishi con i cactus mi sembra l’ombra di quello di Tilo con le spezie e, tanto per chiarirci, “La maga delle spezie” è uno dei miei libri preferiti in assoluto. Banana ha da ritenersi fortunata se non urlo allo scandalo.

Giappone, giorni nostri. Shizukuishi vive con la nonna da sempre. Orfana da quando lei lo ricordi, questa donna si è sempre occupata di lei e da sempre vivono molto spartanamente in alta montagna. Definire la nonna di Shizukuishi una curatrice in senso stretto sarebbe forse troppo, diciamo che la definizione migliore è “curatrice di anime” con buona pace di quelli che credono che curando l’anima, per l’appunto, si curi il corpo. Tutto sta nel tè. In questa bevanda che di miracoloso ha ben poco, ma di naturale, genuino, sano e spontaneo, tutto. Ogni persona, ogni patologia, ogni paura, dolore, senso di disagio, ha un suo tè, che Shizukuishi ha imparato, dalle mani sapienti della nonna, a preparare, senza ovviamente raggiungere mai i suoi livelli. Ogni giorno scorre uguale a quello prima, eppure Shizukuishi non potrebbe immaginare una vita diversa: immersa nella natura giorno e notte, impegnata ad aiutare il prossimo. Tuttavia il suo felice, ma fragile, mondo crolla come un castello di carte quando la nonna le annuncia che ha intenzione di trasferirsi a Malta con un nuovo compagno. Lei ricorda a malapena quell’uomo gentile che qualche tempo prima era stato curato con il tè della nonna e aveva regalato loro un pc nuovo di zecca con tanto di connessione internet, per poter ordinare il tè e riceverlo anche dall’altra parte del mondo. Ma l’idea che i due si fossero scambiati mail per mesi, tanto da portare la nonna ad una tale drastica decisione, non aveva nemmeno sfiorato il cervello di Shizukuishi. Nonostante l’invito a seguirla, la nonna non riesce a convincere la ragazza ad abbandonare il Giappone per una nuova avventura in Europa. Shizukuishi non l’avrebbe mai creduto possibile, eppure eccola lì, la nuova traumatica realtà, prendere piede da un giorno con l’altro: dovrà abbandonare la sua vita, così come l’ha sempre condotta ed andare in città. Potrà continuare a produrre i tè della nonna, ma dovrà comunque trovarsi un altro lavoro. Dovrà cavarsela da sola. Non sembra una prospettiva allettante, quantomeno fino a quando non ottiene un colloquio con il signor Kaede. È amore reciproco a prima vista. Un amore molto particolare. Kaede è un bell’uomo, giovane ed interessante, con un grosso handicap: è praticamente cieco. Kaede però, ha un dono eccezionale: è un sensitivo. Prende in mano un oggetto appartenente ad una persona e sente qualcosa, ha delle visioni. Le sue prestazioni sono richiestissime e nel frattempo sta cercando anche di scrivere un libro… ha bisogno di una segretaria che lo registri e poi trascriva le sue parole. Ma che lo assista quotidianamente ricevendo i clienti, prendendo appuntamenti e quant’altro. E Shizukuishi è la persona adatta a questo scopo. L’amore spirituale che li unisce e che fa si che i due si comprendano incredibilmente con poco è tutto ciò che a loro basta per essere felici e godere l’uno dell’amicizia dell’altro. Anche se il signor Kataoka, compagno di Kaede, mal sopporta questa ragazza (troppo avvenente ed impicciona, secondo i suoi gusti) e la vorrebbe dentro casa solo ed esclusivamente nell’orario di lavoro. Nemmeno a dirlo, Shizukuishi non ha nessun interesse per quello che lei considera un secondo maestre (dopo la nonna) e, di fatti, comincia a frequentare un giovane uomo di nome Shin’ichiro, conosciuto al giardino botanico. Ma quando Shizukuishi avrà forse più bisogno di Kaede accanto, lui, come la nonna, sene va: partirà per un anno o forse più con Kataoka. Andranno a vivere a Firenze e lei dovrà ricominciare ancora una volta. Ora c’è Shin’ichiro, ma…  basterà?
 
Ho addocchiato il secondo libro di questa quadrilogia… non costa nemmeno molto, ma adesso non sono pronta. Questo libro mi ha lasciato uno strano sapore in bocca.. a dire la verità non me ne ha lasciato nessuno. Niente. Ed è stranissimo per me, di solito Banana ha una forza spaventosa sulla mia emotività. Fino a quando non avrò fatto ordine sarà meglio non proseguire. La Yoshimoto per me è “emozione” e qui boh, sembra essersi persa. Diversamente significa che mi sono persa io.
 
 


 

Il Ritorno del Numero Sette (Lorien Legacy #5)

Inizio: 26 aprile 2015
Fine: 27 aprile 2015
 
Proseguiamo?
Al suo risveglio Ella si rende conto di non essere assieme ai suoi amici. È sola in una stanza vuota, davanti a quella che sembra essere una forma di cortesia mogadorian. Non sa da quanto tempo si trova lì dentro, i suoi incubi le avevano indicato chiaramente che Setrakus Ra la volesse fortemente accanto a sé, ma la piccola Dieci è ancora molto lontana dalla comprensione. Sola e spaventata decide di passare all’azione, deve fuggire. Nessuno sembra prestarle troppa attenzione, ma questo è ben presto spiegato: Ella è prigioniera sulla Anubis, l’astronave ammiraglia mogadorian di Setrakus Ra. È in orbita e la Terra è solo un globo azzurro sospeso, così lontano da lei. Come se non bastasse, quel mostro orrendo le sta blaterando cose senza senso: dovrà studiare la storia dei Mogadorian, come i Loric e gli Antenati lo abbiano cacciato additandolo come pazzo per i suoi esperimenti di miglioramento genetico della razza, come il posto di Ella, le spetti di diritto. Lei, sua nipote, dominerà la Terra. Ultima delle favolose notizie: stanno attendendo il suo promesso sposo.

John non si da pace da quando è comparsa la nuova cicatrice. Qualcuno è morto e lui non ha idea di chi possa essere, qualcuno li ha traditi e lui non ha idea di chi possa essere. John è confuso, i Garde sono stati traditi, un Garde è stato ucciso, i Mogadorian sono tornati all’attacco, Malcom è quasi morto, Ellaè stata rapita e… Adam. Già, Adam. Come spiegare il rapporto con il Mogadorian, apparso all’improvviso nell’attico sventrato di Nove, che lo ha aiutato a mettere in salvo tutto ciò che poteva essere importante. Che Malcom si fidi di lui è sicuramente una buona cosa, ma fidarsi di conseguenza è meno facile. Adam, dal canto suo, sembra comprendere questo atavica difficoltà e sembra avere la pazienza necessaria affinché gli altri si abituino a lui. Alla fine è un ribelle del suo popolo, che si è alleato coi nemici (che ancora non sono amici) ed h, non si sa bene come, ereditato un potere dalla prima Garde uccisa, la Numero Uno. Bisogna passare all’attacco e presto, questo Setrakus Ra non se lo aspetta di sicuro. Dopo avere spedito Sarah a malincuore a ritrovare Mark (che ha sempre, costantemente, continuato a tentare di contattarla per settimane), John decide di prendere d’assalto insieme a Sam e Malcom, le residenze Ashwood. Per come Adam ha illustrato loro la cosa, sembra fattibile. Solo pochi Mog e qualche pezzo grosso. Ma John questa volta è solo ed il pezzo grosso in persona, però, è niente di meno che il generale Sutekh, padre di Adam. In men che non si dica le residenze Ashwood diventano un campo di battaglia.

Dopo due giorni alla mercé della palude, Sei, Sette e Nove si ritrovano in un piccolo villaggio. Marina non rivolge parola a Nove da quando Otto è morto. Se quell’idiota fosse stato zitto, se non avesse continuato a provocare Cinque, se avesse taciuto una volta tanto, Otto non si sarebbe sacrificato per lui. Marina non controlla il gelo che la pervade, forse la rabbia ed il dolore le hanno attivato una nuova eredità. Sei fatica a reggere i lunghi silenzi e l’atmosfera sempre più tesa. Anche lei si sente in colpa, per essersi fatta giocare e mettere fuori gioco da Cinque. Se solo fosse stata più attenta, se solo non avesse perso i sensi. Otto sarebbe ancora vivo. Non sono riusciti ad ucciderlo, anche se Marina è riuscita a cavargli un occhio, sono dovuti fuggire dai Mogadorian, abbandonando il corpo dell’amico. E questo, Sette, non lo accetta. Bisogna tornare a riprenderlo.

A chilometri di distanza i destini di John (che nel frattempo ha distrutto le residenze e visto Adam uccidere il suo stesso padre) e degli altri Garde sembrano convergere nuovamente. Adam e Malcom sono riusciti ad individuare gli altri nelle Everglades, un Garde solo se ne va, mentre gli altri sembrano rimanere all’interno di un hungar. Perché un Garde sene va assieme ai Mog? Dev’essere il traditore. Ma chi è? Solo dopo aver hackerato il sistema, ed essere riusciti ad entrare nelle telecamere di sorveglianza, quando i volti degli amici appaiono sullo schermo, tutto appare chiaro. Sei, Sette e Nove. E sulle spalle di Nove il corpo di Otto.

Cinque ha tradito

La situazione è decisamente più grave del previsto: che non fosse mai piaciuto a nessuno era chiaro, che la minaccia potesse arrivare proprio da lui non era stato nemmeno contemplato. Pareva imbranato, impacciato, sprovveduto. Tutta una finta: da solo aveva messo fuori gioco Sei e Nove, tentando fino all’ultimo di convincere Otto e Marina ad allearsi a Setrakus Ra. Fino all’ultimo. Fino all’ultimo gesto disperato di Otto, che ha avverato la profezia che pensavano tutti di avere scampato. E mentre i ragazzi con una navicella Mog ed Adam come navigatore remoto, tornano verso le residenze Ashwood, Cinque fa la sua comparsa al cospetto di Ella, sua futura sposa.

Mi fermo qui. Le ultime 100 pagine le lascio a voi: che ci crediate o no saranno piene di colpi di scena, quasi quanto le prime duecento… quindi è come se non vi vessi detto nulla. Solo una parola: spettacolo!!! Questa saga è davvero affascinante e non riesco sinceramente a capire come mai non abbia riscosso un successo maggiore, insomma mi sembra decisamente più avvincete della saga di Percy Jackson! Attendendo che la gente si ricreda e prenda interesse io faccio propaganda positiva! Leggetelo!!!!

La Sfida del Numero Cinque (Lorien Legacy #4)


Inizio: 25 aprile 2015
Fine:  26 aprile 2015
 
L’anno scorso, più o meno in questo periodo, avevo chiuso “La vendetta del numero Nove” pensando a quanto tempo sarebbe passato prima che io potessi leggere “La sfida del numero Cinque”. Ovviamente, come spesso accade, la vita mi ha portato a fare altro e quando questo libro finalmente è uscito anche in Italia, l’ho comprato e posato in libreria. Non avevo addosso la frenesia della lettura. Un mese e mezzo fa circa mi sono accorta che era uscito anche “Il ritorno del numero Sette”, l’ho comprato e posato accanto agli altri. Poi, tre giorni fa, è scattata la Lorienite acuta e mi sono messa a leggere… Inutile dire che mi sono rimasti tra le mani poco più di 36 ore. Andiamo per ordine.

Base di Dulce. New Mexico. Sam è rinchiuso da talmente tanto tempo che no sa nemmeno più da quanto. Sa solo che dopo essere stato torturato da Setrakus Ra, il Benevolo Condottiero (come lo chiamo i Mogadorian) non lo ha ucciso e per qualche strano motivo non sembra intenzionato a farlo. È riuscito a strappargli qualche informazione ma nulla più. È debole ma dentro di lui la speranza che Nove e John ce l’abbiano fatta prende il sopravvento quando si rende conto che qualcuno sta attaccando la base: solo i Garde ne avrebbero opportunità e coraggio. Le sue urla disperate non raggiungono né John né Nove, ma inaspettatamente un Mogadorian appare davanti alla sua cella, non è come tutti gli altri, sembra umano… ed accanto a lui c’è una persona che Sam non avrebbe mai sperato di vedere: suo padre Malcom. Non c’è tempo per spiegarsi, raccontarsi o altro, nemmeno per comprendere perché quel Mogadorian sembra aiutarli a fuggire, bisogna muoversi ad uscire di lì.

Hancock Center, Chicago. Illinois. John, Maren, Stanley, Marina, Naveen, Ella e Sarah sono assieme, tutti incredibilmente illesi. Il rifugio creato ed attrezzato da Sandor è ancora il posto migliore dove rifugiarsi. Bernie Kosar è sempre con loro. Nonostante all’apparenza siano al sicuro, gli incubi notturni non smettono di perseguitare Ella, terrorizzandola; nemmeno John riesce a riposare, finendo  per passare quasi tutte le notti appollaiato sul tetto. Che si fa adesso? Sono assieme, eppure sono usciti quasi sconfitti dall’incontro con Setrakus Ra, come pensano di gestire la minaccia Mogadorian? Esercitarsi a combattere sembra l’unica cosa da fare ma prima sarà meglio rintracciare Cinque, che sta facendo di tutto (esponendosi fin troppo) per trovare gli altri Loric: probabilmente è solo e spaventato. Si decide per il salvataggio estremo: Sei e John lo raggiungeranno in Arkansas, sperando di tornare il prima possibile. Trovano Cinque, solo e spaventato come immaginavano. La missione sembra fin troppo semplice e quando i Mogadorian intervengono in massa per fermare (ed uccidere) i Garde è battaglia. Piken piombano da ogni lato mettendo in seria difficoltà Sei e Quattro, fino a quando Malcom e Samuel non accorrono inaspettatamente in loro aiuto. Con due amici ritrovati e l’ultimo Garde, i Loric sono esausti, ma al settimo cielo. Tuttavia il rientro a Chicago le cose si complicano; Ella rivela il contenuto della lettera di Crayton, spiegando la sua origine diversa e non considerandosi quindi, il numero Dieci. Cinque non piace a nessuno, solo Otto e Marina cercano e realmente di farlo a sentire a proprio agio. È sempre stato solo, ha solo bisogno di tempo, o forse no. A Nove inoltre non va giù la presenza di Malcom e Sam (non aveva protestato troppo per Sarah..), soprattutto dopo avere scoperto che Malcom, torturato per anni, ha rivelato informazioni vitali agli uomini del Benevolo Condottiero ed ha profondi buchi di memoria. Come se già questo non bastasse a renderlo sospetto, è stato aiutato ad evadere da un Mogadorian, Adam, del quale si fida e con il quale cerca di mettersi in contatto da giorni. I Loric temono un attacco improvviso, di essere scoperti ed annientati tutti insieme. Bisogna imparare ad usare le Eredità, imparare a comprendere come utilizzare le cose contenute nei loro scrigni. Bisogna recuperare quelli che non sono caduti nelle mani dei Mog, come ad esempio quello di Cinque, che lui stesso ha sepolto nelle Everglades. La missione di recupero viene organizzata in tutta fretta, non c’è un solo minuto da perdere. Alla vigilia della partenza, però, l’ennesimo incubo fa piombare Ella in uno stato di incoscienza traumatico: ha le convulsioni, sembra terrorizzata e provata, ma soprattutto non riescono a svegliarla. La situazione peggiora notevolmente quando, afferrando il polso di John, Ella sembra risucchiarlo nell’incubo, lasciandolo in preda alle convulsioni e praticamente in coma come lei. Che si fa? Sei, Sette, Otto e Nove decidono comunque di partire per cercare lo scrigno di Cinque. Lasciano Sam, Sarah e Malcom a badare a John ed Ella, costantemente intrappolati in una realtà parallela. Mentre i Mogadorian si avvicinano pericolosamente alla Hancock Tower, i giovani Loric stanno andando incontro ad un imboscata: ma chi è realmente il traditore? È comunque troppo tardi: con tre soli umani a fare da scudo a Quattro e Dieci i Mogadorian irrompono all’ultimo piano dell’Hancock Center. Sam, Malcom e Sarah fanno del loro meglio ma la situazione è critica, decisamente troppo oltre la loro portata. Esattamente come per gli altri nelle Everglades. John, imprigionato nel sogno di Ella finalmente capisce cosa la turba, si forma una nuova cicatrice sulla sua caviglia e, dal dolore, Quattro si sveglia. È stato solo un sogno? No. Qualcuno è morto veramente. Un altro Garde è stato ucciso. Malcom sanguina, sta morendo; Sam e Sarah sono allo stremo delle forze e qualcuno sta sottraendo il corpo immobile di Ella. John si è svegliato in un incubo ancora peggiore.

Che dirvi di più? Almeno il finale lasciamolo in sospeso. La mia recensione ha lo stesso ritmo incalzante del libro. Ogni volta resto basita dalla bravura di James Frey e Jobie Hughes: è incredibile la loro capacità di rendere avvincente ed inaspettata una saga che ha già tre capitoli alle sue spalle. I punti di snodo sono molto interessanti ed i colpi di scena (in qualsiasi altro libro prevedibili) qui risultano tali. Impossibili da prevedere. Impensabili. In questo libro le voci narranti sono quelle di Sam, Sei, Quattro e Sette. Mi piace l’alternanza delle voci dei protagonisti che permette al lettore di entrare nei panni di tutti, di comprendere punti di vista e debolezze. Ancora non ci è stata data la possibilità di entrare nei panni di Nove, Otto, Ella né tantomeno in quelli di Cinque… forse nel prossimo capitolo! Se dovessi trovare una pecca, giusto per il gusto di trovarla… i Mogadorian mi ricordano un po’ troppo i Dissennatori, anche nel comportamento e Setrakus Ra fa un po’ Lord Voldemort.. ma a Pittacus Lore perdono qualsiasi cosa!!!!

domenica 26 aprile 2015

Topi

Inizio:19 aprile 2015
Fine: 21 aprile 2015


La prima di copertina riporta il parere di Repubblica: “Topi è un thriller psicologico di magistrale fattura”. Ma anche no. Prego definire thriller psicologico, magistrale fattura e poi, forse, ne possiamo parlare. Ma per ora, anche no. Mi dispiace, ma per me questo libro non sa di niente e, soprattutto, non ha né capo né coda. A cominciare dal titolo, estrapolato dalla psicologia spicciola (di chi poi) e adoperato fastidiosamente ed alternativamente per indicare persone timide, ritrose, incapaci di reagire, vittime e chi più ne ha più ne metta. Dopo essere cresciuta con uno come King e avere letto i libri di un tale di nome Jo Nesbo, queste 316 pagine di Gordon Reece mi hanno lasciato…. Basita. Normalmente cerco di capire quale possa essere l’idea di base, cosa voglia comunicarmi l’autore, frugando aldilà dell’apparenza, ma in questo caso, questo tipo di ricerca, mi ha fatto smarrire peggio di prima. Rinuncio.

Inghilterra. Periferia di Londra. Giorni nostri. Shelley Rivers ha avuto un’infanzia normale. Figlia di due avvocati, benestante, ottima studentessa, ha avuto una vita serena e tranquilla fino all’età di dodici anni, fino a quando la differenza tra le sue amiche d’infanzia e lei (apparentemente sempre uguale a se stessa) non ha cominciato a renderla bersaglio di odiosi scherni. Poco interessata ai ragazzi, un po’ cicciottella e dedita allo studio, diventa lo zimbello delle sue amiche Teresa, Emma e Jane. Proprio loro, con le quali ha condiviso gioie e scoperte di bambina e si è ripromessa mille volte di non lasciarsi mai, diventano il suo tormento, le sue instancabili aguzzine. In un crescendo che comincia con delle battute, che diventano offese verbali, attraverso i primi spintoni ed i primi calci, passando attraverso veri e propri pestaggi. Nel frattempo, i suoi genitori si sono separati, hanno dato vita ad una furente lotta per l‘affidamento conclusasi solo con la decisione autonoma di Shelley di rimanere con la madre. Da quel momento, il padre, semplicemente ha smesso di considerarla. È forte il disagio di Shelley, che si considera una persona debole (un topo), incapace di reagire alle cattiverie ed ai soprusi, in preda alla vergogna, quasi fosse colpa sua. Questo suo senso di inadeguatezza le rende impossibile confidarsi con la madre (che lei considera un altro topo) e negli anni impara sempre più scaltramente a camuffare lividi e tagli, a smacchiare abiti ripulire le proprie cose costantemente imbrattate. Tuttavia trova il proprio sfogo personale nell’annotare minuziosamente ogni giorno le angherie di cui è vittima. Un diario crudo, schietto, tutto fatti e niente commenti. Shelley avrebbe voglia di farla finita (ma d’altronde è un topo e non ha nemmeno il coraggio d suicidarsi) eppure non lo fa. Rinunciando all’idea d’impiccarsi nel garage di casa va incontro, inconsapevole, al peggior giorno della sua vita: le sue aguzzine, le danno fuoco.
Tristemente devastata, la vita di Shelley esce allo scoperto con la stessa forza con la quale era stata repressa, con una sorta di spinta di Archimede emotiva. Ma, al contrario di ciò che potreste pensare, la reazione non è di rabbia o di forza, ma solo di paura (lei è un topo cosa potete aspettarvi di diverso?). Il ritrovamento del diario apre gli occhi (forzatamente) alla povera Elizabeth, ignara fino a quel momento degli abusi subiti dalla figlia negli anni precedenti. Vista l’impossibilità di perseguire le ragazze che con forza negano ogni coinvolgimento, Shelley decide e ottiene di studiare privatamente a casa, dopo che assieme alla madre si è trasferita in un’isolatissima casa di campagna. Solo il padre, i professori privati e la polizia conoscono l’indirizzo. I topi hanno trovato un luogo sicuro nel quale rintanarsi e prosperare, nel quale riprendere in mano la loro vita. Ora potranno vivere in pace.
Una notte però, la notte del sedicesimo compleanno di Shelley, la loro tranquillità viene scossa brutalmente: un ladro, fatto e completamente ubriaco, si è introdotto nella loro casa per rubare. Le sveglia, le minaccia, le lega. Poveri piccoli topi in trappola.
Il topo in trappola, però, è il ladro.

Svelarvi il seguito sarebbe come dire: inutile che lo leggiate, è tutto qui. Chiariamo una cosa: la storia non è male, in sé. Il problema è ‘impronta che Reece da alla storia… un thriller? Ma scherziamo??? Psicologico poi? Se qualcuno di voi ha mai letto Misery non deve morire ha ben presente cosa si provi quando uno scrittore crea una tensione psicologica nella quale il lettore si trova invischiato. Siamo lontani anni luce. Senza nemmeno considerare il fatto che, se la prima parte può essere assolutamente verosimile (quella sul bullismo) la seconda comincia a fare acqua da tutte le parti: un ladro, armato di un coltello, fatto, ubriaco, che non sta letteralmente in piedi davanti a due donne (DUE!) perfettamente lucide e reattive, riesce a gestirle senza il minimo sforzo. Stiamo già esagerando, secondo me. Ciò che avviene nella terza parte poi, da quando il topolino si è trovato in trappola, sfocia addirittura nel ridicolo. Totalmente inverosimile.
Non è una cattiva lettura, ma se ne poteva fare decisamente qualcosa di meglio a mio parere. Sarebbe bastato evitare di strafare. Reece ha un’ottima capacità descrittiva, una buona scorrevolezza e fluidità di scrittura; peccato, peccato davvero.

Ogni giorno ha il suo Male

Inizio: 27 Dicembre 2014
Fine: 6 Gennaio 2015

Si fa leggere. Senza troppe pretese. Sinceramente mi aspettavo di più, vista l’ottima premessa. Sapete com’è: i gialli sono gialli e se ci si cimenta con questo genere, la cosa più difficile è elaborare una bella trama, coinvolgente, intrigante, che tenga il lettore incollato alle pagine… e poi bisogna evitare di correre. Nel classico giallo il lettore vuole sentirsi protagonista, indagare, capire, fare supposizioni, arrivare alla soluzione insieme all’autore (e al protagonista)… certo, non è una cosa semplice, ma o dentro o fuori, non è che ci siano molte alternative. L’unica, forse, è quella di scrivere una storia, con “un omicidio” sullo sfondo, come fanno Nadia Morbelli o McCall Smith; allora può anche funzionare. L’idea di Fusco, bene bene, non l’ho capita. Ma ho capito che anche lui è caduto nella trappola del finale scontato e precipitoso (grave tanto quanto lo sarebbe dirci chi è l’assassino). Insomma, l’avrete capito, non mi ha convinto. Scritto bene è scritto bene… però, qualche riserva ce l’ho.
 
Valdenza, Vettolini (Toscana), giorni nostri. L’ispettore Tommaso Casabona si trova ad indagare sull’omicidio di una ragazza, Giuseppina Pagani, trovata brutalmente uccisa e mutilata nel suo appartamento. La giovane insegnante sembra essere una persona normale, senza particolari problemi o scheletri nell’armadio, fatto salvo per una relazione segreta con il preside della scuola in cui lavora. Dall’interrogatorio al professor Foschi emerge però una verità sconcertante: la donna uccisa nell’appartamento di Giuseppina, non è Giuseppina. Le foto, mostrate all’unico sospettato di un supposto delitto passionale, mostrano una donna completamente diversa. Ma se Giuseppina è a far visita ai suoi genitori (come viene riscontrato) chi è la poverina? E come è entrata nell’appartamento? Inutile dire che il tempo passa senza che se ne venga a capo, nemmeno Massimo Lucchese, giovane spalla di Tommaso, sembra essere in grado di trovare qualche punto di luce in quest’indagine al buio. È passato un mese ed è quasi Natale; Chiara (la figlia di Tommaso) è rientrata da Barcellona, dove frequenta l’Università, per passare le Feste in famiglia. Giusto in tempo per vedere Valdenza sconvolta da un altro omicidio, predisposto in grande stile dall’assassino nella piazza principale. Una donna è stata posata come una statua (vestita e truccata), su una pedana di legno, con una siringa in un braccio. Lì, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno per ore si accorgesse che quella donna era morta e non immobile per un numero da strada. La questione comincia a farsi seria e Casabona si rende conto che di lì a poco la gente comincerà a farsi prendere dal panico da “serial killer”. Giunge inaspettato l’aiuto da Roma di Cristina Belisario, commissario dello SCO. Inaspettato ed anche non molto gradito, quanto meno all’inizio. Ma è troppo poco il tempo per mettersi a discutere sulle decisioni di Roma, bisogna scovare l’assassino. Inoltre è Natale e Tommaso non può proprio rinunciare alla vigilia con Chiara, la figlia, e sua moglie Francesca. Finalmente dopo parecchi mesi potranno cenare con il figlio Alessandro, chiuso in una comunità per tossicodipendenti in via di guarigione. Casabona sa molto bene cosa significhi mettere il lavoro al primo posto, sena accorgersi che ci sono cose più importanti, come la famiglia. Una “svista” che Alessandro ha pagato caro e, con lui, tutta la sua famiglia. Una dimensione intima e raccolta che ben presto Tommaso vedrà stravolta, poiché il killer sembra avere un conto in sospeso proprio con lui.
 
Ribadisco la mia perplessità: troppo chiaro l’intento del giallo per credere che Fusco (tra l’altro funzionario della polizia di stato) l’abbia voluto solo come sfondo, troppo poco esaustiva la dinamica cittadina e sociale di Valdenza. Insomma è un giallo senza il buco, come le ciambelle non perfette.