Fine: 1 marzo 2013
Interessante. Particolare ma
interessante. Potrebbe essere un giallo, anzi senza dubbio lo è, ma non fila
esattamente come siamo abituati a veder filare i gialli. Sarà che lo scrittore
in questione ha alle proprie spalle una cultura complessa che cerca di
riportare in modo prorompente nel libro. Sicuramente non è facile seguire
ragionamenti filosofici, religiosi e sociali abilmente intrecciati per
allontanare il lettore dalla risoluzione del delitto. Ma forse Pamuk vuole volontariamente
che il lettore si concentri su altro. Il delitto la fa da sfondo.
Istanbul
1500 – Io sono il morto. Così comincia questo romanzo. Con un cadavere, che
parla e ci racconta della sua morte e della sua esperienza di anima vagante
distaccata dal corpo. Raffinato Effendi, abile miniaturista della scuola di
Maestro Osman, è stato brutalmente ucciso e gettato in un pozzo. Il movente
vero e proprio non è chiaro ma il lettore intuisce che costui rappresentava una
minaccia. Alla base della diatriba vi è un interessante discorso artistico
religioso: disegnare per Allah solo per rendere gloria al sommo Creatore di
tutte le cose oppure disegnare per soldi (l’equivalente di disegnare per
Satana). Accanto alla scuola di Maestro Osman, che rispecchia il volere dei
precetti religiosi e del Sultano, infatti ve n’è un’altra, che non si forgia di
tale titolo, ma allo stesso modo è stata voluta dal Sultano. Segretamente Egli
ha chiesto a Zio Effendi di miniare un’opera, un libro, che narri di lui e
della sua grandezza per donarlo poi al signore di Venezia, acerrimo rivale sia
religioso che commerciale. Era stato proprio Zio Effendi a fare conoscere al Sultano
quanto avesse appreso sul modo di fare arte degli Infedeli, la riproduzione di
ritratti per passare alla storia ricordati per il proprio volto, senza correre
il rischio di essere dimenticati e confusi. Una forte violazione dei precetti
che imperano che un disegno venga fatto non per essere guardato ma per
rappresentare la gloria di Allah. Così, in segreto, i migliori miniaturisti
della scuola, di notte a turno disegnano le pagine del libro memoriale del Sultano
in gran segreto, ma senza vedere mai i disegni degli altri. E quando Raffinato
Effendi scopre tutto questo, minaccia di condannarli davanti ad un’autorità religiosa
che non esiterebbe a farli condannare. Peccato che la sua vendetta sia mossa
solo da avidità; accetta di tacere in cambio di danaro, ma l’assassino prima lo
inganna e poi lo uccide.
Questa
dovrebbe essere la vicenda regina della storia, invece non lo è. Accanto se ne
intreccia una altrettanto importante: il ritorno di Nero. Nero è nipote di Zio
Effendi ed è innamorato da sempre di sua figlia Sekure. Da quando, dodici anni
prima, egli, in un impeto di passione, aveva osato esternare il proprio amore
alla fanciulla, era stato bandito. Allontanatosi per anni, dopo aver viaggiato
in giro per l’Asia Minore ed aver lavorato con Cinesi e Persiani, viene
richiamato a Istanbul dallo Zio che lo mette al corrente dell’omicidio e commissiona
a lui soltanto la finitura del libro. Nero rivede Sekure, madre di due figli e
moglie affranta dalla lontananza dl marito, un guerriero partito in guerra e
che oramai manca da quattro anni. Sekure è tornata a vivere col padre dopo che
il cognato Hasan aveva tentato un approccio alla donna, nella convinzione di
farla sua. Nero immagina come farla divorziare e farla sposare con lui. Ma mentre
progetta questo il caro Zio Effendi viene brutalmente assassinato dallo stesso
omicida di Raffinato. Tacendo il brutale delitto e fingendo che l’uomo sia in
punto di morte ottengono il divorzio di Sekure ed ottengono il permesso a nuove
nozze. Ma presto tutto viene a galla e molti cominciano a pensare che sia Nero
il colpevole dell’omicidio dello Zio. Hasan per primo rivendica i suoi diritti
sulla cognata e lo minaccia pubblicamente.
Questa
volta però è il Sultano a mettere a tacere tutto, interessato solo a scoprire
chi abbia ucciso Zio Effendi e posto un freno così alla realizzazione del suo
libro. Chi, tra i miniaturisti (soprannominati Cicogna, Oliva e Farfalla) si è
macchiato di tale delitto? Forse Nero stesso? Maestro Osman? Nero e il Maestro vengono
incaricati di comprendere chi possa essere il vile cane omicida. Se non
scopriranno l’assassino entro tre giorni, tutti verranno torturati.
Miniaturisti compresi. Vicino al corpo di Raffinato Effendi è stato trovato un
disegno che rappresenta un cavallo. Il miniaturista che lo ha disegnato è l’assassino.
Il
lettore è continuamente sbalzato da un capitolo all’altro, ogni volta
raccontato da una persona diversa. Compresa l’assassino. Ma è davvero molto
difficile comprendere chi possa essere. Il lettore non sa chi sia la persona
che inizia il capitolo dicendo Io sono l’assassino. Non c’è verso di venirne
fuori. Non solo le persone raccontano capitoli, ma anche i disegni, il cane, l’albero,
il cavallo, il Rosso (il sangue), la morte stessa… rendendo tutto molto più
elaborato e arzigogolato. È un romanzo pieno di racconti che alle volte aiutano
ed altre volte confondono il lettore. I racconti, l’assassinio, le vicissitudini
di Sekure e Nero, quelle di Oliva, Cicogna, Farfalla e Maestro Osran… tutto
rende questo libro complesso; una complessità difficile da districare, ma non
così difficile da seguire. Una cosa che ci tengo a sottolineare è l’assoluta somiglianza
tra Cristianesimo e Islam. Più leggo racconti scritti da islamici o che hanno
protagonisti islamici che narrano, più me ne rendo conto. Non credo che Pamuk
sia musulmano (ci sarebbero alcuni atteggiamenti dei miniaturisti, descritti nel
libro, che richiederebbero un cinismo troppo alto oppure un senso della verità
ancora maggiore per non essere considerati blasfemi) ma il libro è pregno di riferimenti
alla religione musulmana. Leggete questo passaggio e poi ditemi se non potrebbe
essere uscito dalla Bibbia…
“Si,
Allah creò Adamo davanti agli occhi di noi angeli. Poi ci chiese di prosternarci
davanti a lui … mentre tutti gli angeli si prosternavano, io [Satana] mi
opposi. Allah mi reputò orgoglioso. Scendi dal paradiso – mi ordinò. Concedimi di
vivere fino al Giorno del Giudizio – dissi. Me lo concesse. C’è chi afferma che
in quel momento io e l’Altissimo Allah stringemmo un accordo. Stando a loro io
aiutavo Allah a mettere alla prova le sue creature cercando di traviare le loro
menti. Il fatto che io sia sempre stato il cattivo, che non mi siano mai stati
riconosciuti dei meriti. Benché l’ordine del mondo si realizzi grazie a me e
con il permesso di Allah (perché mi aveva concesso di vivere fino al Giorno del
Giudizio?), è sempre stato un mio cruccio segreto. Personaggi come Hallaci
Mansur, o Ahmet Ghazzali … arrivarono a dire e scrivere che in realtà tutti i
peccati che facevo commettere, erano cose che voleva Allah, visto che si
realizzavano con il permesso e il desiderio di Allah, che il bene e i male non
esistevano perché tutto proveniva da Allah, e che, inoltre, io ero parte di
Allah.”
Ci
sarebbe parecchio su cui riflettere, ma io mi fermo qui anche perché diversamente
vi annoierei. Ovviamente non vi dico chi è l’assassino… se no vi rovinerei il
giallo!!!
Spero
però di avervi incuriosito abbastanza per spingervi a leggerlo, ne vale la
pena!
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