venerdì 1 marzo 2013

Il mio nome è Rosso


Inizio: 11 febbraio 2013
Fine: 1 marzo 2013

Interessante. Particolare ma interessante. Potrebbe essere un giallo, anzi senza dubbio lo è, ma non fila esattamente come siamo abituati a veder filare i gialli. Sarà che lo scrittore in questione ha alle proprie spalle una cultura complessa che cerca di riportare in modo prorompente nel libro. Sicuramente non è facile seguire ragionamenti filosofici, religiosi e sociali abilmente intrecciati per allontanare il lettore dalla risoluzione del delitto. Ma forse Pamuk vuole volontariamente che il lettore si concentri su altro. Il delitto la fa da sfondo.

Istanbul 1500 – Io sono il morto. Così comincia questo romanzo. Con un cadavere, che parla e ci racconta della sua morte e della sua esperienza di anima vagante distaccata dal corpo. Raffinato Effendi, abile miniaturista della scuola di Maestro Osman, è stato brutalmente ucciso e gettato in un pozzo. Il movente vero e proprio non è chiaro ma il lettore intuisce che costui rappresentava una minaccia. Alla base della diatriba vi è un interessante discorso artistico religioso: disegnare per Allah solo per rendere gloria al sommo Creatore di tutte le cose oppure disegnare per soldi (l’equivalente di disegnare per Satana). Accanto alla scuola di Maestro Osman, che rispecchia il volere dei precetti religiosi e del Sultano, infatti ve n’è un’altra, che non si forgia di tale titolo, ma allo stesso modo è stata voluta dal Sultano. Segretamente Egli ha chiesto a Zio Effendi di miniare un’opera, un libro, che narri di lui e della sua grandezza per donarlo poi al signore di Venezia, acerrimo rivale sia religioso che commerciale. Era stato proprio Zio Effendi a fare conoscere al Sultano quanto avesse appreso sul modo di fare arte degli Infedeli, la riproduzione di ritratti per passare alla storia ricordati per il proprio volto, senza correre il rischio di essere dimenticati e confusi. Una forte violazione dei precetti che imperano che un disegno venga fatto non per essere guardato ma per rappresentare la gloria di Allah. Così, in segreto, i migliori miniaturisti della scuola, di notte a turno disegnano le pagine del libro memoriale del Sultano in gran segreto, ma senza vedere mai i disegni degli altri. E quando Raffinato Effendi scopre tutto questo, minaccia di condannarli davanti ad un’autorità religiosa che non esiterebbe a farli condannare. Peccato che la sua vendetta sia mossa solo da avidità; accetta di tacere in cambio di danaro, ma l’assassino prima lo inganna e poi lo uccide.

Questa dovrebbe essere la vicenda regina della storia, invece non lo è. Accanto se ne intreccia una altrettanto importante: il ritorno di Nero. Nero è nipote di Zio Effendi ed è innamorato da sempre di sua figlia Sekure. Da quando, dodici anni prima, egli, in un impeto di passione, aveva osato esternare il proprio amore alla fanciulla, era stato bandito. Allontanatosi per anni, dopo aver viaggiato in giro per l’Asia Minore ed aver lavorato con Cinesi e Persiani, viene richiamato a Istanbul dallo Zio che lo mette al corrente dell’omicidio e commissiona a lui soltanto la finitura del libro. Nero rivede Sekure, madre di due figli e moglie affranta dalla lontananza dl marito, un guerriero partito in guerra e che oramai manca da quattro anni. Sekure è tornata a vivere col padre dopo che il cognato Hasan aveva tentato un approccio alla donna, nella convinzione di farla sua. Nero immagina come farla divorziare e farla sposare con lui. Ma mentre progetta questo il caro Zio Effendi viene brutalmente assassinato dallo stesso omicida di Raffinato. Tacendo il brutale delitto e fingendo che l’uomo sia in punto di morte ottengono il divorzio di Sekure ed ottengono il permesso a nuove nozze. Ma presto tutto viene a galla e molti cominciano a pensare che sia Nero il colpevole dell’omicidio dello Zio. Hasan per primo rivendica i suoi diritti sulla cognata e lo minaccia pubblicamente.
Questa volta però è il Sultano a mettere a tacere tutto, interessato solo a scoprire chi abbia ucciso Zio Effendi e posto un freno così alla realizzazione del suo libro. Chi, tra i miniaturisti (soprannominati Cicogna, Oliva e Farfalla) si è macchiato di tale delitto? Forse Nero stesso? Maestro Osman? Nero e il Maestro vengono incaricati di comprendere chi possa essere il vile cane omicida. Se non scopriranno l’assassino entro tre giorni, tutti verranno torturati. Miniaturisti compresi. Vicino al corpo di Raffinato Effendi è stato trovato un disegno che rappresenta un cavallo. Il miniaturista che lo ha disegnato è l’assassino.

Il lettore è continuamente sbalzato da un capitolo all’altro, ogni volta raccontato da una persona diversa. Compresa l’assassino. Ma è davvero molto difficile comprendere chi possa essere. Il lettore non sa chi sia la persona che inizia il capitolo dicendo Io sono l’assassino. Non c’è verso di venirne fuori. Non solo le persone raccontano capitoli, ma anche i disegni, il cane, l’albero, il cavallo, il Rosso (il sangue), la morte stessa… rendendo tutto molto più elaborato e arzigogolato. È un romanzo pieno di racconti che alle volte aiutano ed altre volte confondono il lettore. I racconti, l’assassinio, le vicissitudini di Sekure e Nero, quelle di Oliva, Cicogna, Farfalla e Maestro Osran… tutto rende questo libro complesso; una complessità difficile da districare, ma non così difficile da seguire. Una cosa che ci tengo a sottolineare è l’assoluta somiglianza tra Cristianesimo e Islam. Più leggo racconti scritti da islamici o che hanno protagonisti islamici che narrano, più me ne rendo conto. Non credo che Pamuk sia musulmano (ci sarebbero alcuni atteggiamenti dei miniaturisti, descritti nel libro, che richiederebbero un cinismo troppo alto oppure un senso della verità ancora maggiore per non essere considerati blasfemi) ma il libro è pregno di riferimenti alla religione musulmana. Leggete questo passaggio e poi ditemi se non potrebbe essere uscito dalla Bibbia…

Si, Allah creò Adamo davanti agli occhi di noi angeli. Poi ci chiese di prosternarci davanti a lui … mentre tutti gli angeli si prosternavano, io [Satana] mi opposi. Allah mi reputò orgoglioso. Scendi dal paradiso – mi ordinò. Concedimi di vivere fino al Giorno del Giudizio – dissi. Me lo concesse. C’è chi afferma che in quel momento io e l’Altissimo Allah stringemmo un accordo. Stando a loro io aiutavo Allah a mettere alla prova le sue creature cercando di traviare le loro menti. Il fatto che io sia sempre stato il cattivo, che non mi siano mai stati riconosciuti dei meriti. Benché l’ordine del mondo si realizzi grazie a me e con il permesso di Allah (perché mi aveva concesso di vivere fino al Giorno del Giudizio?), è sempre stato un mio cruccio segreto. Personaggi come Hallaci Mansur, o Ahmet Ghazzali … arrivarono a dire e scrivere che in realtà tutti i peccati che facevo commettere, erano cose che voleva Allah, visto che si realizzavano con il permesso e il desiderio di Allah, che il bene e i male non esistevano perché tutto proveniva da Allah, e che, inoltre, io ero parte di Allah.

Ci sarebbe parecchio su cui riflettere, ma io mi fermo qui anche perché diversamente vi annoierei. Ovviamente non vi dico chi è l’assassino… se no vi rovinerei il giallo!!!
Spero però di avervi incuriosito abbastanza per spingervi a leggerlo, ne vale la pena!

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