martedì 10 dicembre 2013

La canzone di Achille

Inizio: 24 novembre 2013
Fine: 9 dicembre 2013 

Nel mio cuore di liceale c’è sempre stato posto per due soli eroi: Ulisse, uomo dal molteplice intelletto ed Ettore, uomo dai sentimenti profondi. Non sopportavo Achille né tanto meno Enea. Ho letto cento volte l’Odissea, ma una sola (obbligata) l’Eneide. Ma questo libro meraviglioso mi ha commosso fino alle lacrime, mito o meno. La scrittrice ha davvero steso un capolavoro quanto ed emozioni. Non è esattamente tutto uguale per filo e per segno, qualcosa è stato modificato qua e là.. ma va bene così. La guerra di Troia è stata lunga e complessa, nemmeno al liceo mi è mai stato facile prendere una posizione: ero coi troiani quando il vecchio Priamo, umilmente, attraversa l’accampamento nemico per chiedere ad Achille il corpo di Ettore, ma ero con i greci quando Ulisse ideava il cavallo; schierata con Cassandra alla quale nessuno credeva, ma ancora con Odisseo quando impiega vent'anni a tornare a casa. Conoscevo bene la storia di Achille, di come fosse stato smascherato a Sciro, del suo amore per Patroclo, della sua furia e del suo dolore, della sua crudeltà nei confronti di Ettore, della sua sete di vendetta. Eppure questo libro mi ha aperto un’altra strada per comprendere e compatire quel semidio dai capelli biondi, tanto amorevole quanto risoluto. Ed ho compreso quanto Patroclo fosse degno di essere accanto all’aristos acheion.

Questo è il libro di Patroclo. Achille e Patroclo, una sola cosa. Fino alla morte. Patroclo è un principe, figlio di Menezio e di una madre assente, dalla mente di una bambina. Da lui il padre si aspetta grandi cose, vuole per lui un futuro degno di un re, lo spinge sempre tre passi avanti, come quando lo manda da Tindaro per chiedere in moglie la bella Elena. Peccato che Patroclo sia poco più di un bambino. E peccato che l’unica cosa che lo colpisca in quella sala sia un ragazzo biondo con gli occhi verdi, bellissimo, già visto alle Olimpiadi, che chiamano “pelide”. Patroclo se ne ritorna a casa senza una sposa ma con quegli occhi verdi nella testa; ancora non sa che il destino ha riservato per lui un posto vicino a quello sconosciuto.  In un momento di frustrazione e rabbia uccide Clitonimo e suo padre lo disereda e lo caccia dal regno, affidandolo a re Pelo, sovrano di Ftia. Peleo è un uomo giusto e generoso che accoglie esuli sotto il suo stendardo e li trasforma in guerrieri riconoscenti. Ma, soprattutto, Peleo è il padre di Achille. Poco a poco Patroclo avvicina Achille quasi sfuggendogli, occhiate furtive, guance infiammate, sfuriate degne di un principe, che Patroclo però non è più. Un’instancabile danza sulle note di una lira che termina quasi per gioco quando Achille lo nomina suo compagno di fronte a tutti, Peleo compreso. Nemmeno la partenza di Achille per il monte Pelio dove andrà ad addestrarsi con Chirone, può fermare Patroclo, deciso a non separarsi da lui. Nemmeno la furia, lo sdegno ed il palese disprezzo di Teti possono nulla contro quel sentimento talmente profondo da sembrare irreale. Nulla può separarli, o quasi. A sedici anni, dopo quattro passati con Chirone, vengono richiamati a palazzo: Agamennone sta reclutando uomini per muovere guerra a Troia. Paride ha offeso Menelao rapendo sua moglie Elena e portandola con sé a Troia. Bisogna andare a riprenderla. Quale migliore persuasore di Odisseo? Achille però non vuole partire, non vuole combattere, vuole diventare un eroe ma non è questa a guerra nella quale vuole distinguersi. Teti lo rapisce e lo porta a Sciro, sottraendolo alle mani tessitrici delle Moire e a Patroclo. Il destino di Achille è solo rimandato, così come l’arrivo di Patroclo a Sciro; il giovane non si è fatto intimidire ed ha costretto Peleo a dirgli dove si rifugia il principe, sotto mentite spoglie. L’idillio dell’incontro dei due dura ben poco, la copertura di Achille viene smascherata da Odisseo e Diomede, che, trovato il principe che espugnerà Troia e ucciderà Ettore, si imbarcano alla volta di Ftia dove i mirmidoni attendono il loro principe comandante. Dopo una sosta per riunirsi ad Agamennone e agli altri greci ad Aulide, veleggiano verso Troia. Achille è venuto a Troia da volontario e, tanto per chiarirlo, lui non è agli ordini di nessuno e, sempre per chiarirlo, senza di lui i greci sono spacciati. La città appare da subito difficile da conquistare e, dopo un primo tentativo diplomatico fallito miseramente, i greci non possono fare altro che razziare le campagne circostanti sperando di indebolire la città (che comunque può contare su moltissimi alleati). Tra i bottini di guerra che ogni sera si spartiscono i greci appare Briseide, una bellissima troiana, che Achille su suggerimento di Patroclo reclama per sé sottraendola all’avido Agamennone. Achille e Patroclo non intendono nemmeno sfiorarla, figuriamoci violarla; pian piano, non senza qualche difficoltà, Patroclo riesce ad instaurare con lei un bellissimo rapporto di fiducia e complicità, di reciproca comprensione ed affetto. La vita all’accampamento non è più tanto militare, oramai sembra un insediamento a tutti gli effetti. Sono passati diversi anni e la situazione non è cambiata: Troia arroccata dentro le sue mura, i greci accampati fuori, Ettore e Paride in bella mostra sulle mura ed Achille che non ha nessun motivo per ucciderlo (ed è l’unico in grado di farlo). Patroclo passa le sue giornate aiutando Macaone (il medico dell’accampamento) sfruttando l’addestramento di Chirone, nonostante tutto è sempre insieme ad Achille, che di giorno combatte e la sera torna da lui. Ettore non è morto e finché Ettore non morirà Achille resterà vivo (come dice la profezia). Ma la maledizione di Apollo si abbatte sull'esercito di Agamennone: egli ha osato appropriarsi di una sua sacerdotessa ed ha negato il riscatto al padre tornato per riprenderla. Agamennone placa l’ira del dio restituendo Criseide, ma sottrae Briseide ad Achille che lo ha messo in ridicolo. Achille, palesemente oltraggiato, privato di ciò che l’esercito ha riconosciuto come suo di diritto, rifiuta da quel giorno di combattere e di far combattere i propri mirmidoni. La situazione drasticamente peggiora: i greci vengono massacrati uno dopo l’altro da Ettore, Sarpedonte e le temibili frecce di Paride. Senza Achille la guerra è persa. Ma la sua hubris gli impedisce di scendere in campo a meno che Agamennone non si scusi in ginocchio davanti a lui. Patroclo, più ragionevole e mosso da sentimenti profondi, disperato, offre ad Achille un’alternativa: si metterà le sue armi, si fingerà lui, non scenderà mai dal carro, non combatterà perché non ne è capace, basterà che gli altri credano che lui sia Achille. I troiani scapperanno terrorizzati e i greci si rianimeranno. Achille accetta, un po’ riluttante al pensiero che il suo amato Patroclo si ritrovi in battaglia, ma sul suo carro è intoccabile, circondato da mirmidoni, è al sicuro. Patroclo ha coraggio, riesce perfino ad uccidere Sarpedonte, ma poi, l’eccitazione della battaglia lo porta a sfidare Apollo in persona ed Apollo, decide di premiare l’uomo che da sempre lo prega e fa sacrifici in suo onore: Ettore.

Non svelerò una fine che tutti conosciamo fin troppo bene, non la svelerò perché la parte finale di questo libro è da capogiro, un vortice che trascina il lettore da una pagina all'altra, da un sentimento all'altro, dalla disperazione alla rabbia cieca. Tutto il libro è intessuto di dialoghi (verbali e non) tra Patroclo ed Achille, sulla loro necessità di confrontarsi, scontrarsi e amarsi. Sulla capacità di essere uno lo specchio dell’altro, uno il punto di riferimento dell’altro, fino alla morte. Achille è un semidio capace di amare con una dedizione ed una concretezza degni del migliore essere umano, Patroclo è un mortale fatto e finito, con la capacità di fare brillare Achille come non mai, con un coraggio ed una determinazione sorprendentemente saldi, perché nati dall'amore. Ostacolati dagli uomini, ostacolati dagli dei, ostacolati della vita e dalle Moire che hanno tessuto per loro maglie uguali eppur diverse, Achille e Patroclo rimarranno una cosa sola, ceneri di uno tra le ceneri dell’altro.


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