venerdì 9 dicembre 2011

Nessuno - L'odissea raccontata ai lettori d'oggi

Inizio: 7 dicembre 2011
Fine: 9 dicembre 2011



Era dai tempi del liceo che non leggevo l’Odissea. È sempre stato il mio poema epico preferito, ma a furia di tradurlo dal greco mi ero stancata. Odisseo, l’uomo dall’ingegno multiforme, l’uomo capace di vagare 20 anni per, come direbbe Foscolo, baciare la sua petrosa Itaca. Mi ha sempre colpito la sua tenacia, la sua capacità di non arrendersi e di superare gli ostacoli che Poseidone e Zeus disseminavano sul suo cammino; certo grande merito va alla dea Atena che l’ha sempre protetto e guidato, ma non si può negare che il prode Odisseo ci abbia messo del suo. Mentre i più spasimano per il bell’e forte Achille, tutto muscoli coraggio e sprezzo del pericolo, a me ha sempre interessato Odisseo, tutto cervello, sangue freddo e calma. Tuttavia questo libro di De Crescenzo, davvero ben scritto, mi ha un po’ fatto ricredere sulla figura che per anni ha campeggiato nella mia mente di liceale. Non si può certo dire che Odisseo fosse uno stinco di santo, razzie e cattiverie ne ha fatte tante, ma che fosse un pusillanime, bè, questo invece non lo avevo mai pensato. Più che la storia, l’Odissea vera e propria, infatti, mi ha colpito l’ultimo capitoletto dove l’autore racconta un lato dell’eroe itacese che ignoravo: l’uomo che descrive, oltre ad essere un codardo pauroso, è anche un arrivista senza limiti, come lo chiameremmo noi oggi. Riguardando a distanza di anni questo poema e ripensando oggi alla figura di Odisseo non è che mi piaccia poi molto questo suo fare, pur non potendo negarne l’assoluta intelligenza e l’assoluto senso pratico. Sarà che l’Odissea è sempre stata il simbolo del povero tapino (mi perdoni il divino Odisseo) che osteggiato da tutto e tutti cerca di ritornare alla sua casa ed alla sua amata famiglia, alla tenera sposa Penelope infastidita da invadenti pretendenti, e al figlioletto Telemaco, che ha lasciato ancora in fasce. È un po’il romanticismo di questi sentimenti a farti parteggiare per il povero Odisseo, a condividere le sue sofferenze e a sperare con lui di tornare alla petrosa Itaca. Tuttavia, come dicevo, questo libro mi ha aiutato anche a mettere a fuoco l’Odisseo uomo, più che l’eroe. E se volessimo togliere anche gli interventi divini della divina Atena (non me ne voglia nemmeno lei), dell’Odisseo dal multiforme ingegno non so quanto resti. Omero ce lo descrive, già fin dall’inizio, in lacrime, prigioniero della bella Calipso sull’isola di Ogigia; l’esperide figlia di Atlante lo tiene con sé da 7 anni e non lo lascia partire.. e lui piange pensando al figlioletto ed alla perenne tenera (Penelope è sempre tenera) sposa. Chiunque si sarebbe impietosito davanti al prode in lacrime che sogna solo il rientro a casa. Ma forse strada facendo ci si rende conto che Odisseo non è così valoroso come ce lo descrive Omero. De Crescenzo fa numerose riflessioni sulla figura dell’eroe nella varie parti cruciali e significative del suo viaggio, come ad esempio l’episodio di Polifemo. Senza togliervi il giusto di leggere questo libro, vi dico solo che è adatto a ridimensionare chi some me ha sempre avuto una incondizionata stima ed una cieca predilezione per Odisseo. Spogliandolo un po’ dell’aura sacra che lo riveste e un po’ anche della divina Atena che lo protegge, Odisseo ci apparirà come realmente è .. e non so se vi piacerà così tanto l’uomo che vedrete! Anche se senza volerlo ha distrutto un mio idolo di sempre, ringrazio De Crescenzo che mi ha aperto gli occhi… c’è sempre da imparare!


Citazione pag 219:

Il divino Zeus, stanco delle continue lamentele di Atena le dice: "Sei tu quella che fa e disfa i destini degli eroi. Se ritieni utile che  a Itaca scenda la pace tra Ulisse e i parenti dei Proci, provvedi tu a convincere questi ultimi, ma non chiedere a me di intervenire. Io, al massimo, posso non interferire".

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