

Volevo segnalarvi che su IBS sono disponibili i 5 ebook della saga "Rex Deus. L'armata del Diavolo" del bravissimo Marcello Simoni a soli 0,49 cent l'uno! Sono assolutamente imperdibili! e poi sapete bene che Simoni è una garanzia!!!!



Il secondo invece è un romanzo di Carolina De Robertis, che tratta un tema correlato a quello dei desaparecidos, ovvero la sottrazione di bambini (figli dei prigionieri) e la loro ripartizione tra i militari, i quali li adottavano illegalmente. Molti ragazzi argentini sono cresciuti con coloro che hanno ucciso i loro veri genitori. La ragazza dai capelli di Fiamma, 13,94€, racconta la storia di Perla Correa che deve affrontare la dura realtà della sua vera identità, con tutto ciò che ne comporta.
°_° E
no Alessandro. Sono veramente arrabbiata. Che cosa diavolo hai scritto?? Che
cosa mi rappresenta questo libro??? Scusami Baricco, a me di solito piaci, ma
sto giro hai proprio toppato. Fermo restando che non mi è stata chiara per
tutto il tempo la trama di questo libro, né il filo rosso che lega i
personaggi, vorrei anche capire primo, che personaggi hai scelto e secondo, ma
che razza di storielle solo?????
Riprendo
in mano questo libro dopo undici anni. Nel lontano 2002 dovetti leggerlo per
l’esame di letteratura inglese. Il bello e il sublime, questo era il filo rosso
del corso. All’epoca mi era piaciuto molto ed avevo messo 4 stelline, ma in
realtà non so bene quanta attenzione ci avessi realmente messo nel leggerlo
perché era l’ennesimo libro di questo tipo che la nostra insegnante ci aveva
dato da preparare per l’esame.
Bello. Molto di già visto, ma comunque bello. Quando ho letto la trama
pensavo fosse leggermente diverso, invece mi sono trovata davanti al classico
quindicenne che ha poteri soprannaturali. Credo che la Saga, perché si anticipa come una
saga, sia molto più bella nel complesso che non quanto appaia dai singoli
libri, in quanto mi pare di avere capito che ogni libro seguirà un diverso
protagonista.
Mi
è piaciuto veramente tanto questo libro di McCall Smith. Era il primo per me,
ma decisamente seguiranno tutti gli altri, compresi quelli che non sono stati
pubblicati in italiano, ma sono in inglese. Si perché le avventure di Precious Ramotswe
e la sua Lady’s Detective Agency n.1 sono molte e io le voglio leggere tutte! La
signora Preciuos vive a Gaborone, la capitale del paese, e conduce una vita indipendente
e di tutto rispetto; è una detective, un’investigatrice privata che gode di buona
fama e di una posizione benestante. Nella sua piccola agenzia lavora anche la segretaria
Makutsi, molto perspicace ed intelligente che l’aiuta nelle indagini. Mentre vive
un periodo felice, dovuto al suo fidanzamento con il buon signor JLB Maketoni (rispettabile
meccanico della capitale) le capita tra le mani un caso spinoso: la scomparsa
di un ragazzo americano, risalente, però, a dieci anni prima. La madre, la signora
Curtin non si è mai arresa alla scomparsa del figlio da una fattoria sperimentale
vicino al deserto del Kalahari e, dopo aver tentato ogni strada in dieci anni, come
ultimo tentativo racconta il suo dramma alla signora Ramotswe chiedendole aiuto.
Nemmeno giustizia, solo aiuto a ritrovare le spoglie del figlio che secondo lei
è indubbiamente morto. Ovviamente Precious accetta, pur essendo un compito difficile;
dovrà trovare tracce nuove, se possibile, dopo dieci anni di tentativi della polizia
andati a vuoto. Dovrà parlare nuovamente coi testimoni, ispezionare i luoghi,
ma dieci anni sono tanti. Eppure non si può negare ad una madre il diritto di sapere
cosa sia successo e di seppellire il proprio figlio…
Questo è amore. E non è la solita
storiella di due ragazzi che dopo mille peripezie riesco finalmente ad amarsi. No,
questo è amore allo stato puro.
È il mio secondo Erri De Luca e sono
rimasta nuovamente stregata. Quest’ uomo ha una capacità di trasmettere
immagini ed emozioni incredibile. Il peso della farfalla mi ha lasciato un
grande senso di pace. Forse perché racconta un periodo della vita, quello
finale, con una serenità ed una naturalezza disarmanti; forse perché è giusto
che ognuno di noi sappia che la natura deve fare il suo corso e non c’è nulla
di triste o brutto in questo. Ho versato lacrime, è vero, lo ammetto, ma non
erano amare o tristi erano semplicemente liberatorie. Mi ha insegnato che si
può arrivare a capire certe cose anche con l’ultimo respiro, che non è mai
tardi per imparare e che non si deve rimpiangere quello che è stato, ma solo
prenderne atto. Accettare le cose per quelle che sono. Non è facile farlo,
sicuramente per una come me lo è ancora meno, però questo libro lo insegna e lo
racconta attraverso le vite incrociate di un bellissimo camoscio ed il suo
cacciatore. Non amo la caccia come sport e non la condivido. Ma questo
cacciatore era fin troppo dolce e consapevole per non apprezzarlo; non l’ho
considerato un cacciatore per tutto il libro, ma semplicemente un uomo con la
sua vita, la sua quotidianità e il suo obiettivo. Un uomo che ha avuto rispetto
per la vita e per la morte e che, laddove ha sbagliato, ha imparato dai suoi
errori. Dall’altra parte della barricata il camoscio, anziano, che ormai sa che
la sua vita da capobranco è finita, che si sacrifica per gli altri per non
sprecare nemmeno la sua morte. Una morte che poi alla fine li unisce, dopo
averli tenuti distanti per tutta una vita.
Proprio
non so resistere al richiamo del medioevo. Se poi, in qualche modo si parla di
templari, crociate e quant’altro, allora mi è proprio impossibile. Ho letto
quasi tutto di questa autrice spagnola che si cimenta in romanzi storici. Matilde
Asensi è quasi sempre una garanzia ed anche questa volta sono rimasta molto
soddisfatta. Intrigante ed appassionante, con un ritmo piacevolmente
incalzante, la vicenda di Galceran de Born mi è piaciuta molto.
Considerato
che questo è il primo romanzo di Matilde Asensi, bisogna ammettere che nel
tempo è migliorata molto nel costruire trame ed intrecci. Non che questo libro non
sia bello, anzi, ma rispetto ad altri è molto semplice. Ana è un’antiquaria
spagnola che vive con Ezequiela, la donna che l’ha cresciuta. Ana è il Pedone, quinto
elemento della banda degli Scacchi, da quando suo padre è venuto a mancare
mettendola al corrente dei suoi affari. La banda degli Scacchi è una banda di
ladri di beni di inestimabile valore: quadri, gioielli, manufatti, opere d’arte,
etc. Organizzatissimi, distanti fisicamente e geograficamente, Re, Regina,
Torre, Alfiere, Cavallo e Pedone quasi non si conoscono e si contattano grazie
ad espedienti altamente sofisticati creati dall’Alfiere, un vero genio dell’informatica.
Ognuno di loro ha un compito ben preciso e quello di Ana, di solito, è di
commettere il furto. Re è francese, è il più anziano ed è da sempre il capo del
gruppo; da ordini e decide cosa valga la pena di rubare. Regina è una donna
italiana, dedita all’arte, esperta nella riproduzione di falsi esattamente
identici agli originali. Torre è inglese, di Londra ed è il portafoglio del gruppo,
si deve occupare di tutti gli elementi logistici che richiedano dispendio
economico. Cavallo, portoghese, è un orologiaio esperto di meccanismi di
qualsiasi tipo. Alfiere è il genio
informatico che mette tutti in comunicazione, disinserisce qualsiasi antifurto
e fa da supporto remoto ad Ana in ogni operazione. Pedone, infine, è la nostra
Ana, ultimo elemento per importanza ma estremamente prezioso per il gruppo in
quanto esecutrice materiale dei furti. Nessuno conosce questa sua doppia vita
tranne una zia, ritiratasi in un convento, Juana, che le ha riservato una
stanza con doppia mandata per nascondere la refurtiva a cambio di cospicui e
continuativi versamenti economici… La nuova avventura del gruppo degli Scacchi
prevede che Cavallo e Pedone trovino quella che viene definita l’ottava
meraviglia del mondo: la camera d’ambra. Nel 1941, durante la seconda guerra
mondiale, l'esercito tedesco saccheggiò gli antichi palazzi degli zar a San
Pietroburgo e trafugò in Germania
molte opere d'arte di inestimabile valore, che scomparvero misteriosamente
negli ultimi giorni della guerra. Tra queste opere fu anche smontata ed
asportata la camera d'ambra, costituita interamente da
lastre di ambra del Baltico, che sparì insieme agli altri tesori. Ma non appena
Ana si reca da Cavallo in Portogallo per dare inizio ai preparativi, balza
subito all'occhio un problema: Amalia. Cavallo ha una figlia tredicenne che non
ha la vaga idea di cosa faccia il padre come secondo lavoro (o almeno così
pensa lui). Come partire alla volta dell’Europa senza la figlia? E come
spiegare la presenza di Ana, che oltretutto lascia trasparire un certo
interesse per Josè? Piuttosto che stare per qualche tempo dalla madre preferisce
andare in Spagna a casa di Ana e restare con Ezequiela. Una volta ultimati i
preparativi il Cavallo ed il Pedone partono alla volta di Berlino, ma bene
presto scopriranno che non sono gli unici ad essere sulle tracce della favolosa
camera d’ambra. Quello che non immaginano è che tra le loro fila si nasconde il
traditore che cercherà in ogni modo di eliminarli dopo averli usati. Sarà un
aiuto decisamente inaspettato a salvarli…
Fernando
Pessoa intitola questo libro Il libro dell’inquietudine, ma forse sarebbe stato
meglio chiamarlo Il libro del nulla. Il protagonista, Bernardo Soares, lo dice
chiaramente a pagina 48: “In questi miei appunti sconnessi, e che non ambiscono
ad avere un nesso, racconto con indifferenza la mia autobiografia priva di
avvenimenti, la mia storia priva di
vita. Sono le mie confessioni, e se in esse non dico niente è perché non ho
niente da dire”. Ancora più preoccupante è che Bernardo Soares non esiste, è
tutto frutto della mente di Pessoa. Appunti sconnessi in primis. È lui stesso a
presentarlo, come se fosse una persona vera, e definendolo poi così: una semplice mutilazione della mia
personalità: sono io senza il raziocinio e l'affettività. Non è
un romanzo, non è un’autobiografia. È un diario rivolto a se stesso tanto
quanto ad un ipotetico lettore. Fa molto Beckett in questi monologhi che
vogliono essere dialoghi con qualcuno. In attesa che giunga Godot. Disorientata
dalle prime pagine mi sono fermata e ho letto l’introduzione di Tabucchi nella
speranza di trovare la Stella Polare. Ma navigare in questo mare è
difficilissimo… tuttavia devo riconoscere che l’introduzione mette in guardia
molto chiaramente il lettore riguardo ciò che lo attende, ciò che troverà nelle
200 pagine successive. Spiega molto bene la prospettiva dalla quale Bernardo
vede la sua esistenza, rammenta al lettore quante analogie ci siano con altri
scrittori che hanno trattato gli stessi temi dalle stesse prospettive. Ma in
tutte queste spiegazioni, che aiutano il lettore ad accettare quello che
leggerà, non c’è spazio per la vera e propria comprensione del testo. E il
lettore si domanda: perché? Perché ha scritto queste cose? Cosa lo muove a
scrivere così? Tabucchi non ci illumina. Ma forse non è nemmeno compito suo.
L’intermediario ti da gli strumenti, il risultato dipende da te. Così ho
cercato di capire qualcosa di più della vita di questo poeta e scrittore
portoghese che non conoscevo; ho cercato di capire cosa possa muovere una
persona ad annotare pensieri come questi, completamente svicolati da fatti.
Nonostante i miei sforzi l’unica cosa che sono riuscita a estrapolare è il
fatto che forse Fernando avrebbe voluto essere uno nessuno e centomila, come
dimostrano i suoi innumerevoli eteronimi. Forse aveva quest’uomo un animo
talmente sensibile e volatile da sentire la necessità costante di cambiare
nome, attitudine, pensiero, togliere un pregio, aggiungere un difetto, cambiare
gli ingredienti e vedere quale nuova gustosa ricetta di sé era in grado di
ottenere. Ho continuato la lettura, con qualche elemento in più e ho provato a
non vedere dietro quelle righe una persona che in realtà non esiste. A vederlo
come un esperimento. Forse a Fernando farebbe piacere questo mio modo di
vederlo. Così mi sono spogliata di tutto e ho continuato. Non posso definirla
una lettura difficile né nella lingua né nei contenuti, non è ostile, né tanto
meno inquietante come ispira il titolo. No. È una lettura rassegnata e
depressa. Attenzione non deprimente! Solo depressa. Ho ritrovato atteggiamenti
molto simili a quelli che avevo ahimè sperimentato nella depressione, in questa
malattia che rende incapaci di vivere e ti rilega in un limbo che sembra non
finire mai; ed ecco che ti trasformi in spettatore della tua vita, non te ne
accorgi, ma guardi la vita, la tua vita, scorrerti davanti e non sai nemmeno
che è tua. Forse, ti sembra di non averla mai avuta. Sono discorsi difficili da
fare ed impossibili da recensire. A pochi è dato l’onore di capire. E grazie a
Dio! La depressione non è proprio quello che sia augura agli altri!!! Voi, a
questo punto, però, vorrete anche sapere di cosa parlano questi famosi appunti
sconnessi… mettiamola così: parlano dell’anima di Bernardo vista dal di fuori,
come se l’anima di Bernardo, la sua coscienza e Bernardo fossero entità
diverse. Tabucchi dice: come se l’anima guardasse dalla finestra. Vero. Più o
meno così. Sono sensazioni non fatti, impressioni, non eventi. Nulla è concreto
in questo libro. Nemmeno la città, perennemente avvolta dalla nebbia e senza
contorni. Offuscata. Come l’anima di Bernardo. Bernardo che non dorme ma che
parla di sogni e della dimensione onirica costantemente e quel poco di luce che
appare a contrastare la notte è data dal cielo, non dal sole. Bernardo si perde
a guardare le nuvole: sono sempre state lì? E forse diventa la nuvola stessa…
Letto velocissimamente. Impossibile resistere
a questo piccolo capolavoro di Durrenmatt. Ne avevo sentito parlare nella trasmissione
Per un pugno di libri (una delle poche per cui valga la pena di accendere la
televisione); era la lettura del giorno, sulla quale si sfidavano le due classi
e mi aveva conquistato. Dalla wishlist non è nemmeno passato, l’ho
immediatamente comprato. Ieri sera ho posato Pessoa e preso in mano questo
piccolo libricino rosso. E ho cominciato a ridere. A ridere di gusto. Si perché
mai nella vita mi sarei immaginata la Pizia così; chi come me ha fatto il
classico si è sorbito autori e traduzioni dei miti in tutte le salse e oramai
ha ben scolpiti nella mente tutti i personaggi possibili ed immaginabili della
letteratura e della mitologia greca e latina. Ma una Pizia “stizzita per la
scemenza dei suoi stessi oracoli”, con buona pace di Apollo, io non l’avevo mai
immaginata. E per un attimo mi sono immaginata cosa sarebbe accaduto se Durrenmatt
si fosse chiamato Sofocle e io mi fossi trovata a tradurre un testo così… che
spasso!!
Ok, lo ammetto è stato uno shock. Io,
abituata alla leggerezza pacata di Banana Yoshimoto, mi sono trovata sottosopra
con Murakami. Haruki mi ha letteralmente preso a schiaffi. E io come una
cretina sono stata lì a farmeli dare. La leggerezza della brezza marina contro
l’impetuosità del vento di tramontana. Mi devo riprendere. Non che il Giappone
debba essere necessariamente come Banana lo racconta, ma qualcosina della nippo-cultura
l’ho studiata e non trovo verosimili i dialoghi tra perfetti sconosciuti del
primo racconto, sfrontati ed arroganti. E la volgarità? Che cavolo di
giapponesi sono questi??? Ma senza fermarmi all’apparenza cerco di capire, un
po’ più in profondità, chi sono questi personaggi con i quali ho a che fare. È chiaro
che Murakami non scrive un romanzo, ma narra racconti. Quindi ci dovrà essere
un filo rosso che li lega. In particolare questo libro, composto da sei
racconti, ha come filo conduttore il terremoto di Kobe del 1955. Tutti i
personaggi sono legati in qualche modo a tale tragedia. Nel primo racconto incontriamo
Komura, un uomo abbandonato dalla moglie che lo ha lasciato cinque giorni dopo
il terremoto. Loro vivono lontano dall'epicentro e non hanno amici o parenti in
quella zona; eppure la moglie resta per cinque giorni immobile ed attonita davanti
al teleschermo, prendendo poi la decisione di andarsene e divorziare. Non è
difficile per il lettore immaginare che abbia avuto amante a Kobe e che lo
stesso sia morto nel terremoto. Nel secondo racconto, un uomo di mezz’età, Miyake,
rivela di avere una famiglia a Kobe anche se da anni vive in una piccola
cittadina sul mare. Anche qui il lettore può solo immaginare cosa sia accaduto
alla moglie ed ai figli di Miyake e si rende comprensiva la decisione
(apparente) di suicidarsi. Nel terso, Yoshiya, venticinque anni, rimane solo a casa
per qualche giorno poiché sua madre è in missione umanitaria a Kobe con il suo
gruppo spirituale (sembra quasi cristianesimo ma non saprei…) per prestare
aiuto. In uno di questi giorni il ragazzo incontra per caso per strada un uomo
che, per via di un difetto ben visibile, potrebbe essere suo padre e si mette a
seguirlo. Alla fine del viaggio Yoshiya troverà solo se stesso. Nel quarto
racconto incontriamo Satsuki, una bella donna, una dottoressa affermata in
viaggio a Bangkok per un convegno medico. Anche lei è legata a Kobe, il suo ex
marito vive lì. O forse viveva, perché lei spera con tutto il cuore che sia
rimasto schiacciato sotto le macerie. E poi, nel quinto, arriva un Ranocchio
gigante che vuole salvare Tokyo da un imminente terremoto, perché il Gran
Lombrico è stato svegliato da quello di Kobe. Per farlo chiede aiuto a
Katagiri, che lavora per la sezione recupero crediti di una banca,
presentandosi a casa sua e chiedendo il suo aiuto. Ancora desso mi chiedo chi
fosse Katagiri… se il simpatico coprotagonista di una (disgustosa) storiella
per bambini oppure un tossicodipendente in fase di astinenza (e non vi spiego
il perché). Per ultimi incontriamo Sayoko, Kan e Junpei. Sayoko e Kan sono
stati sposati ed hanno avuto la piccola Sara, ma il loro matrimonio è finito
nonostante i loro rapporti continuino. Junpei è un secondo padre per Sara, alla
quale ama raccontare storie inventate sul momento. È laureato in Letteratura e
da quando i suoi genitori lo hanno scoperto, non si parlano. Nemmeno il
terremoto di Kobe (dove vivono i genitori di Junpei) li muoverà da questo
silenzio astioso in cui si sono rinchiusi. Ma in questo ultimo racconto il
terremoto è davvero solo una macchiolina sullo sfondo. La storia è tutt'altra.
Mah, che dire. Questo libro è un po’
strano, esilarante a tratti, un po’ più noioso in altri. Non ricordo cosa mi
avesse colpito della trama tempo fa, né dove l’avessi letta. Probabilmente la
colpa è di Anobii, tanto per cambiare. David Sedaris è nato in America da
genitori greci, ha una famiglia numerosa e nella sua vita ne ha combinate un po’
di tutti i colori. In questo libro si narrano solo alcuni episodi della sua
vita, alcuni tratti dalla sua infanzia, segnata dalla consapevolezza di essere
negato per l’arte in generale ed essere omosessuale, aldilà di ogni ragionevole dubbio; altri
invece raccontano delle sue esperienze nella grande mela, così diversa dalla
cittadina della North Carolina nella quale è cresciuto. Racconta in modo
esilarante la sua esperienza parigina con il compagno Hugh, i suoi costanti e
pigri tentativi di imparare il francese insieme ad un eterogeneo gruppetto di
alunni provenienti da svariate parti del mondo. Si racconta a noi in modo
diretto ed esplicito, senza filtri, anche quando deve parlarci della sua
esperienza con la droga (risalente alla sua giovinezza), destabilizzando un po’
il lettore proprio per questa sua eccessiva franchezza. Nel complesso è un
libro che si fa leggere senza troppe pretese e senza troppi problemi. Mi resta
sempre il dubbio, però, leggendo cose come questa, che davvero oggi giorno chiunque
abbia la pretesa di avere una vita interessante e abbia all'improvviso l’impellente
necessità di metterla alla mercé di tutti…