Fine: 06 marzo 2013
Letto velocissimamente. Impossibile resistere
a questo piccolo capolavoro di Durrenmatt. Ne avevo sentito parlare nella trasmissione
Per un pugno di libri (una delle poche per cui valga la pena di accendere la
televisione); era la lettura del giorno, sulla quale si sfidavano le due classi
e mi aveva conquistato. Dalla wishlist non è nemmeno passato, l’ho
immediatamente comprato. Ieri sera ho posato Pessoa e preso in mano questo
piccolo libricino rosso. E ho cominciato a ridere. A ridere di gusto. Si perché
mai nella vita mi sarei immaginata la Pizia così; chi come me ha fatto il
classico si è sorbito autori e traduzioni dei miti in tutte le salse e oramai
ha ben scolpiti nella mente tutti i personaggi possibili ed immaginabili della
letteratura e della mitologia greca e latina. Ma una Pizia “stizzita per la
scemenza dei suoi stessi oracoli”, con buona pace di Apollo, io non l’avevo mai
immaginata. E per un attimo mi sono immaginata cosa sarebbe accaduto se Durrenmatt
si fosse chiamato Sofocle e io mi fossi trovata a tradurre un testo così… che
spasso!!
La
Pizia è vecchia e stanca di fare questo benedetto lavoro (mal retribuito) per
il sacerdote. Ma quali oracoli! Pannychis XI le sue divinazioni se le inventa
di sana pianta! E più le domande sono stupide e banali più lei inventa
soluzioni impossibili e finali da film di fantascienza. Come la cavolata detta
a quell’Edipo… “ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre”, seeee ,ma quando
mai. Pannychis se la ride sotto i baffi a vedere le reazioni della gente ai
suoi impossibili responsi, tuttavia tutti i postulanti se ne anno via mesti e
seri prendendo le sue parole per oro colato. Anche quando non sono sue … perché
chiariamoci, ogni tanto le tocca pure pronunciare gli oracoli del veggente cieco
Tiresia che, mannaggia a lui, scrive in giambi (figurati se lui rinuncia a
scrivere in versi). Un po’ di conforto le viene dai vapori che usa per
vaticinare. Belli caldi sono un toccasana per i suoi reumatismi e per scacciare
quella corrente gelida che soffia per il tempio. Tempio… insomma il Santuario
di Delfi oramai era una catapecchia che invano il sacerdote Merops cercava di ristrutturare
facendo sorgere cantieri a destra e a sinistra. Il tempo passa e la Pizia
continua a propinare colossali balle a tutti coloro che le chiedono un responso.
Ma quando Edipo ritorna, cieco e sorretto dalla figlia (sorella) Antigone,
quasi la Pizia si sente male. Possibile che il suo oracolo si sia avverato? Sfilano
così davanti a lei i personaggi della famosa tragedia di Sofocle, che le
narrano di come hanno in tutti i modi assecondato il volere di Apollo, espresso
dalle labbra di Pannychis. Con qualche piccola variante, rispetto al mito
originale. Edipo allontanatosi dai suoi genitori Polibo e Merope (re e regina
di Corinto) si era spinto verso Tebe e in un duello aveva ucciso Laio, re di
Tebe (suo padre) e sposato Giocasta (sua madre). Proprio loro che lo avevano
abbandonato neonato non appena avevano saputo della terribile profezia che
minacciava Laio: sarebbe stato ucciso da suo figlio, sangue del suo sangue. Davanti
alla realtà, Giocasta si era impiccata e Edipo si era accecato (non prima di
avere generato quattro figli). La Pizia vede fuoriuscire i personaggi dalle
nuvole di vapore che salgono da sotto il tripode, come fantasmi le si parano
davanti e le raccontano la loro versione della storia, ribadendo il volere di
Apollo. Ma quale volere di Apollo! Pannychis si era inventata tutto di sana
pianta! Eppure questa gente le crede e non la molla un attimo, non le danno
tregua. Nemmeno Tiresia che le appare per ricordarle che loro due presto
moriranno insieme. “Ti odio” sibilò la Pizia. (Sibilò, stupendo, considerando che
il protettore dell’oracolo, inizialmente affidato a Gea, era una pitonessa
gigante di nome Pitone). Anche Tiresia è un imbroglione, esattamente come lei;
quando aveva vaticinato a Laio che sarebbe morto per mano del figlio tutti
sapevano che Laio non poteva avere figli e mai ne avrebbe avuti. Eppure nessuno
rifletteva su questo! Se gli Dei vogliono questo, allora accadrà. E infatti,
manco a farlo apposta, tutto si era avverato. Come Tiresia dice a Pannychis “con
il tuo oracolo hai inventato la realtà”. Abile burattinaio Tiresia serve i suoi
versi giambici per cercare di modellare la realtà, ma spesso, quelle che
inizialmente si dimostrano buone intenzioni, alla fine si rivelano disastri. Un
piccolo dato, omesso, può confondere il vecchio e fargli vaticinare qualcosa in
un modo anziché in un altro. E il risultato è lontano mille miglia da quello
che si sarebbe volto ottenere; dovunque si cambi qualcosa, il cambiamento
riguarda il tutto.
Nel
discorso finale di Tiresia, però c’è molto di più di una storiella divertente,
c’è un’accusa abbastanza esplicita a chi aspetta una risposta dagli dei per
agire. Chiunque potrebbe trovare una risposta, una soluzione, ma si preferisce
chiedere un’illuminazione. Ci si rifugia nel misticismo per non utilizzare il
cervello. Come quando parla dei tebani, perennemente flagellati dalla peste “Invece
di costruire una fognatura come si deve,
tanto per cambiare ti chiedono un oracolo”. Pigrizia assoluta dell’animo. Nonostante
sia il loro lavoro, Tiresia condanna quest’eccessivo rifugio nel volere degli
dei, nel chiedere ciò che accadrà, pagando il prezzo del sapere con l’infelicità.
Tanto varrebbe allora sapere di meno ed agire di più e se poi gli dei avrebbero
voluto un’altra cosa, poco importa. Le ultime pagine, con il racconto della
Sfinge sono davvero molto belle e racchiudono un’atmosfera incredibilmente magica.
Non è assolutamente un libro scontato e non fatevi ingannare dalle sue
pochissime pagine; è seduttivo e incantatore come un serpente sinuoso. Stupendo!
E' tra i libri da leggere nella mia libreria, ma ancora non è arrivato il suo momento... anche se questo tuo post mi ha sicuramente incuriosita molto! ;D
RispondiEliminaVai Camiiii buttati, lo leggi in un'ora! E poi è bellissimo!
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